Verso il voto/ La forza e i limiti dell’accordo a 4

Lunedì 8 Gennaio 2018 di Marco Gervasoni
Quanti si aspettavano un fallimento del vertice, saranno rimasti delusi.
Quanti si aspettavano che il primo vertice svoltosi ad Arcore dopo molto tempo finisse con uno sfaldamento del blocco di centro-destra , dovranno rimproverare solo la loro ingenuità. E’ ormai da anni che gli studiosi ci mostrano la forte omogeneità sociologica e soprattutto valoriale degli elettori di quel blocco. Che, nella storia d’Italia, ha perso solo quando il suo ceto politico si è diviso. Certo, rispetto all’invincibile armata del periodo a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, la sua costituente elettorale si è notevolmente ristretta, perché è cambiata la società italiana, i generali e le truppe hanno perso troppe battaglie e faticato a immettere nuove leve. Ha ceduto, in termini di voti, più di tutti il capo della coalizione, senza il quale essa non esisterebbe, Berlusconi.

<HS9> I sondaggi più generosi infatti accreditano FI del 17%, mentre nelle elezioni di cinque anni fa (ancora con il nome di Pdl) ottenne il 21%. Ma l’ex premier è più forte oggi che nel 2013: segno che, per usare una nota metafora, i voti oltre a contarli, li si devono pesare.

<HS9> Tanto più in un sistema proporzionale. E il peso di Berlusconi, nella coalizione, sembra superiore a quello di Salvini, anche se la Lega dovesse ottenere più consensi. Il segno preciso l’ha fornito ieri l’account twitter del Cav. con la pubblicazione, prima del vertice, del logo «Berlusconi presidente». Giocando sul doppio senso: presidente, del resto, Berlusconi lo è del suo partito. Ma come fa, si chiederà il lettore, ad essere così solido l’ex premier, che probabilmente non si potrà neppure candidare? Lo è per almeno due ragioni: la prima sta nel ruolo centrale che egli continua ad occupare nell’alleanza. Senza FI e senza il Cav., Salvini e Meloni non andrebbero molto lontano, non solo in termini elettorali ma anche in senso politico: non riuscirebbero probabilmente a costruire neppure un programma comune, e tocca a Berlusconi come sempre fungere da mediatore. Il secondo elemento di forza è che il Cav, per il Partito popolare europeo, per l’Unione europea, per una parte dell’establishment internazionale, per gli investitori, è diventato paradossalmente una «forza tranquilla».

<HS9> Certo, dalla Ue preferirebbero un governo di larghe intese ma, in caso di maggioranza del centro-destra (prevista da alcuni recentissimi sondaggi) si dovranno «accontentare» di un esecutivo guidato da una figura espressa da Berlusconi. Non li farebbe certo gioire la promessa di «revisione» (o cancellazione) della legge Fornero, fortemente appoggiata allora da Bruxelles; del resto non è chiaro come il governo potrebbe finanziare l’ingente impennata della spesa pensionistica. 

<HS9>Ma il «vincolo esterno» finirebbe per farsene una ragione. Del resto un eventuale governo di centro-destra a Roma sarebbe assai meno dirompente di quello appena varato in Austria: la Lega ha governato a livello nazionale per anni e, come ha detto di recente Roberto Maroni, non si considera neppure una «forza di destra». Agitare la bandiera Fornero è però, da parte del Cav., anche un modo per dire: facciamo parte sì del Ppe ma ci batteremo per una politica non così in linea con la ortodossia Ue («meno vincoli dall’Europa»). E infine la Ue del 2018 non è più quella del 2011. Sbaglierebbero però Berlusconi e i suoi alleati a dare per scontata la pelle dell’orso. Il consenso al M5stelle non sembra in calo, e il Pd è guidato da Renzi, un animale da campagna elettorale più agguerrito dei suoi predecessori. C’è poi un ultimo carattere del centro-destra che è di forza e di debolezza assieme: si tratta dell’unica vera coalizione presente in una competizione orientata in larga parte secondo il criterio proporzionale. 

<HS9>Ciò significa che, pure durante la campagna elettorale, le quattro gambe tenderanno a darsi più calci del solito, o perlomeno ciascuna lista cercherà di guadagnare più voti di quella vicina. Anche per il centro-destra, come per tutti gli altri partiti, da qui al 4 marzo non sarà una passeggiata di salute. 
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