Ue, il braccio di ferro è soprattutto tattico, ma per la mediazione il tempo è poco

Mercoledì 16 Novembre 2016 di Alessandro Cardini
Ue, il braccio di ferro è soprattutto tattico, ma per la mediazione il tempo è poco
BRUXELLES Non è un veto, bensì una riserva perché il Consiglio affari generali, di cui fanno parte i ministri che si occupano di politiche interne Ue, non doveva votare. Però è una riserva che intanto blocca la revisione di medio termine del bilancio Ue 2014-2020 e in futuro potrebbe portare a un veto. I Ventotto devono decidere all'unanimità, basta un no per un stop. L'Italia è stata la sola a bloccare il «dossier» anche se fino a qualche settimana fa altri Stati avevano messo sotto tiro la proposta della presidenza slovacca: Lituania, Lettonia, Grecia, Portogallo, Polonia, Ungheria. Via via si sono sfilati, ritenendosi soddisfatti di modifiche qui e là ad alcune poste di bilancio.
Non c'è stata una grande sorpresa per la decisione italiana, che alcuni a Bruxelles leggono come una tappa dell'indurimento delle posizioni del governo Renzi nelle politiche europee da spiegarsi con l'acuirsi della campagna per il referendum sulle modifiche costituzionali. Che ci fosse aria di riserva e, in prospettiva, di veto è noto da un paio di settimane. Il ministro slovacco Ivan Korkok ha gettato acqua sul fuoco perché «c'è un'ampia maggioranza» a favore delle correzioni del bilancio. In ogni caso non si blocca il negoziato per approvare il bilancio 2017, dato che per questo è necessario solo un voto a maggioranza. Le due procedure sono parallele per un breve tratto: la chiusura del negoziato sul bilancio 2017 va fatta entro la prima settimana di dicembre, altrimenti non ci sono i tempi tecnici per partire dal gennaio con il nuovo esercizio e si entrerebbe nella fase dell'esercizio provvisorio con spese mensili non superiori a un dodicesimo degli stanziamenti previsti nell'ultimo bilancio approvato.

La data limite per la conciliazione delle posizioni tra Consiglio e Parlamento è domani. La situazione è complicata dal fatto che il Parlamento vuole tenere uniti i negoziati sulla correzione del bilancio 2014-2020 e quello sul bilancio 2017, ma non certo che questa posizione sarà mantenuta. Come in tutte le decisioni sul bilancio, i contrasti tra Parlamento e Consiglio sulle poste e sulle priorità di spesa sono la regola. D'altra parte si tratta di scelte di chiara implicazione politica nonostante la sua esiguità (1% del Pil Ue). Un esempio lo si è avuto a fine ottobre, quando a Strasburgo il parlamento ha annullato tutti i tagli proposti dal Consiglio (cioè dai governi) nel progetto di bilancio 2017 chiedendo più fondi per aiutare i giovani alla ricerca di un impiego, stimolare la crescita economica e aiutare i paesi terzi a far fronte alla crisi migratoria.

In gioco è la riduzione dell'incremento delle poste di bilancio per Orizzonte 2020, cioè il programma quadro per innovazione e ricerca, ed Erasmus (-50%, e per la «Connecting Facility», cioè le reti europee di trasporto, energia e digitali (-25%). La presidenza Ue ostenta sicurezza sul risultato finale indicando che anche l'Italia beneficia non poco delle correzioni proposte dato che sono centrate sulle priorità nazionali (in particolare immigrazione e grandi reti). Dice il ministro Korkok: «Mettiamo 6 miliardi di risorse fresche per sostenere le spese delle principali priorità, vale a dire gestione dei flussi migratori, gestione delle frontiere esterne, politiche per l'occupazione e la crescita». Per l'Italia non sono sufficienti i fondi per l'occupazione giovanile, sono inaccettabili i tagli a Orizzonte 2020 e sono nebulosi i reperimenti di fondi da poste diverse del bilancio, nel bilancio c'è poca flessibilità. Per la correzione di medio termine i tempi non sono brevi, ma prima si decide meglio è per tutti.

Nella Ue sono più i veti minacciati che i veti praticati. Anche perché spesso la minaccia ha funzionato. Si ricorda per l'Italia il no di Mario Monti nel giugno 2012 quando insieme con lo spagnolo Mariano Rajoy minacciò il veto contro il piano di crescita da 120 miliardi se non avesse ottenuto l'ok allo scudo anti-spread, oppure sempre Monti che fece resistenza contro i tagli ai fondi per lo sviluppo rurale e di coesione per il periodo 2014-2020 (il negoziato durò 27 ore). E ancora Berlusconi nel 2008 sul pacchetto clima.