Alatri, «Emanuele massacrato per aver difeso l'amica», la nuova pista dei pm Oggi il funerale

Sabato 1 Aprile 2017 di Valentina Errante e Pierfederico Pernarella
Alatri, «Emanuele massacrato per aver difeso l'amica», la nuova pista dei pm Oggi il funerale

Forse non era solo un banale litigio degenerato in follia e morte. Forse, a scatenare la ferocia del branco contro Emanuele Morganti, è stato un desiderio di vendetta, covato per quasi un anno tra le strade e le piazze della provincia, dove la rivalità può trasformarsi in odio. Un conto aperto e saldato in un venerdì che non è più stato come tutti gli altri. Le indagini sulla morte di Emanuele sono tutt'altro che concluse, anche se Mario Castagnacci e Paolo Palmisani rimarranno in carcere con l'accusa di omicidio aggravato dai futili motivi. Ieri, davanti al gip che ha convalidato il fermo e firmato l'ordinanza di custodia cautelare, sono rimasti entrambi in silenzio. Il procuratore Giuseppe De Falco e i carabinieri lavorano per identificare gli altri che hanno infierito sul ventenne, tirarli fuori dal branco, stabilire le responsabilità individuali.

 

 

Cercano l'arma, quell'attrezzo a L che serve per svitare i bulloni e che sarebbe stato usato per colpire alla testa Emanuele. Ne parlano i testimoni, ma non è ancora stato trovato. Neppure il movente è chiaro, ma un'ipotesi si sta delineando. Perché Morganti, quasi un anno fa, aveva difeso una ragazza da uno del gruppo. Un'offesa che non gli sarebbe stata perdonata.

LA VENDETTA
Sono tanti i testimoni che i carabinieri, coordinati dal pm Vittorio Misiti, hanno ascoltato in una settimana. Il racconto di chi ha visto, ha già portato in carcere Castagnacci e Palmisani. E mentre si ricostruiscono i dettagli di quella notte da incubo i militari tornano indietro per capire quali fossero le dinamiche del branco. È finito così agli atti quell'episodio: Emanuele aveva preso le difese di una ragazza che stava litigando con il fidanzato, un amico dei due indagati, uno del gruppo, finora rimasto fuori dall'inchiesta. L'ipotesi è che la sera dell'aggressione, quando al bancone del bar Mirò è cominciata la rissa e i buttafuori hanno cacciato dal locale Emanuele, in un clima tutt'altro che tranquillo, il branco abbia finalmente trovato l'occasione per saldare il conto ancora aperto. Una vendetta consumata in un venerdì da sballo di provincia.

L'INTERROGATORIO
Ieri, davanti al gip Anna Maria Gavoni, Castagnacci e Palmisani hanno preferito il silenzio. Le accuse sono state convalidate: rimarranno in carcere. L'ordinanza, firmata dal giudice, riporta ancora quelle testimonianze che incastrano i due ventenni e stigmatizza la pericolosità sociale e il profilo criminale degli indagati. Il precedente di Castagnacci, scarcerato 24 ore prima del delitto, contribuisce a descriverne la personalità.
Non era andata così giovedì pomeriggio, quando proprio Castagnacci aveva deciso di rispondere per cinque ore alle domande di De Falco, per negare tutto. «Sì, è vero, ero in piazza venerdì sera, stavo lì nel casino, vedevo che lo colpivano, ma io non ho picchiato nessuno». Una tesi illogica, per la procura, smentita dalle testimonianze, concordi nell'indicare Castagnacci e Palmisani come attori principali del pestaggio. Fino all'ultimo colpo alla testa, quello fatale, inferto - come ha stabilito l'autopsia - da un oggetto contundente, forse proprio quell'attrezzo a L che brandiva Palmisani. Il pugno alla nuca, dopo il quale Emanuele si è accasciato sbattendo il capo su una macchina, è stato l'ultimo atto di questa tragedia.

LA FAMIGLIA
Ieri centinaia di persone hanno dato l'ultimo saluto ad Emanuele alla camera ardente allestita al Policlinico romano di Tor Vergata. «Chiediamo giustizia, non vendetta - ha detto Francesco, il fratello di Emanuele - Era un angelo ed è inspiegabile quello che è successo. Solo Dio ci può dare una spiegazione». Oggi alle 15 si ritroveranno tutti nella chiesa di Tecchiena, la frazione di Alatri, dove Emanuele viveva.
 

Ultimo aggiornamento: 11:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA