Marcello De Angelis non si dimette, almeno per ora.
De Angelis, il post di scuse: «Riflessioni personali, non volevo causare disagi»
I PUNTI
Tocca infatti al governatore del Lazio mettere la parola fine alla vicenda, in tempi rapidi. «Io mi sento spessissimo con la Meloni, abbiamo avuto modo di sentirci: mi ha chiesto di chiarire e certamente non era felice per quanto accaduto», sottolinea Rocca. Il sentimento sembra essere condiviso all’interno del partito, che però al momento fa quadrato intorno al dirigente regionale. La linea interna di Fratelli d’Italia, pur con la consegna del silenzio, è chiara: le sentenze, come quella relativa alla strage di Bologna, si rispettano; il coinvolgimento dei neofascisti nell’attentato del 2 agosto 1980 che macchiò di sangue l’Italia segnando per sempre la storia del nostro paese è «acclarato»; ma chiedere il licenziamento di De Angelis è da mentalità «comunista» e «sovietica», anche perché rispettare le sentenze «non vuol dire interrompere la ricerca della verità».
LO SCONTRO
Intanto tutte le opposizioni alla Regione chiedono un consiglio straordinario sul tema e anche esponenti di primo piano di Forza Italia - da Maurizio Gasparri a Giorgio Mulè - auspicano a microfoni accesi un passo indietro del responsabile della comunicazione istituzionale. Anche l’Associazione partigiani e quella dei familiari delle vittime dell’attentato nel capoluogo emiliano ribadiscono la richiesta di dimissioni. Per il Pd il dirigente regionale «sapeva bene quello che avrebbe sollevato con il suo post revisionista. Le sue scuse non cancellano le sue dichiarazioni: De Angelis si deve dimettere». Richiesta che arriva anche da Alleanza Verdi e Sinistra secondo cui il responsabile della comunicazione della Regione «può permettersi di restare perché la destra vuole promuovere un pericoloso processo di revisionismo storico pur non avendo nessun elemento di realtà a sostegno». Per il M5S «uno così lo avremmo buttato fuori a calci nel sedere, in Fratelli d’Italia invece gli continuano a garantire poltrona e stipendio con i soldi pubblici».