Wimbledon-record: Anderson batte Inser dopo una maratona

Sabato 14 Luglio 2018
TENNIS
Una partita che entra nella storia di Wimbledon e del tennis in generale. Kevin Anderson raggiunge la finale battendo John Inser dopo oltre sei ore e mezza di gioco con il punteggio di 7-6, 6-7, 6-7, 6-4, 26-24: l'ultimo, infinito set è durato 2h55'. Si tratta del secondo match più lungo dei Championships dopo quello che nel 2010 vide protagonista lo stesso Isner con Mahut, chiuso 70-68 per l'americano al quinto dopo oltre 11 ore di gioco.
ULTIMO SET INFINITO
C'erano pochi dubbi sul fatto che la sfida fra i due giganti (2.03 Anderson, 2.08 Isner) si sarebbe decisa al servizio, arma migliore per entrambi anche in considerazione dell'altezza; non è un caso che ci siano stati solo 5 break in 99 giochi. Anderson aveva mancato una grande occasione nella terza frazione, commettendo doppio fallo sul set point, mancando una seconda palla per salire 2-1 e ritrovandosi invece sotto 1-2, prima di pareggiare i conti nel set successivo strappando il servizio all'avversario al nono gioco. Arrivava così il quinto set, quello della storia: fino al 7-7 nessuno concede palle break, poi al quindicesimo gioco Isner ne deve salvare una, al ventunesimo un'altra, al trentacinquesimo due consecutive con altrettanti ace. Anderson sembra più solido, tanto che non concede chance a Isner nonostante si ritrovi sempre a servire sotto di un game, quindi conscio di non poter sbagliare, come del resto accaduto con Federer. La partita si decide al quarantanovesimo gioco, quando il sudafricano strappa il servizio grazie anche ad un punto incredibile, ottenuto dopo essere caduto ed aver successivamente colpito la palla con la mano sinistra. Nel game successivo Anderson non trema e sul primo match point, quando la palla di Isner finisce in corridoio, festeggia con grande moderazione, anche perché sfinito, e poi si porta verso l'avversario per un abbraccio caloroso e sincero tra l'ovazione del pubblico.
«Non riesco ad esprimere la mia gioia perché mi spiace per John, immagino come si possa sentire - dice il sudafricano, numero 9 del mondo -. Del resto qualcuno doveva vincere, di certo è stata dura per entrambi ed io ho lottato ogni singolo momento». L'esito della partita ha riaperto il dibattito se sia giusto o meno non affidarsi al tie-break nel quinto set, come accade in tutti i tornei ad eccezione di Wimbledon, Roland Garros e Australian Open, ovvero tre dei quattro Slam. Non è tanto un discorso di spettacolo, in quanto partite così piacciono agli appassionati pur se gli scambi sono ridotti al minimo, quanto perché per il vincitore di maratone di questo tipo è impossibile recuperare la stanchezza in meno due giorni, con il rischio (nel caso specifico) che la finale perda d'interesse. Giova ricordare che Anderson, fra quarti e semifinali, è rimasto in campo undici ore. «Al momento il pensiero di giocare un'altra maratona non mi entusiasma, è normale, ma sono alla mia prima finale di uno Slam e, nonostante la grande stanchezza, non posso far altro che cercare di recuperare quanto più possibile», afferma Anderson.
Il protrarsi della prima semifinale ha indotto gli organizzatori a chiudere subito il tetto del Centrale in vista della sfida fra Djokovic e Nadal, allo scopo di evitare uno stop nel momento in cui la luce naturale fosse divenuta insufficiente per il proseguimento della partita.
WILLIAMS CONTRO KERBER
Oggi alle 15 (diretta Sky Sport Uno) si disputa la finale femminile, con la sfida fra Serena Williams e Angelique Kerber, rivincita del 2016, quando la campionissima americana ottenne uno dei suoi sette successi ai Championships. La Williams potrebbe diventare la prima mamma a conquistare il titolo dai tempi di Evonne Goolagong, l'australiana che si impose nel 1980.
Bruno Tavosanis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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