Jake Polledri, 24 anni, figlio di emigranti, formatosi rugbisticamente nei vivai

Venerdì 10 Gennaio 2020
Jake Polledri, 24 anni, figlio di emigranti, formatosi rugbisticamente nei vivai
Jake Polledri, 24 anni, figlio di emigranti, formatosi rugbisticamente nei vivai inglesi, è la grande speranza azzurra. A lui, terza linea con spiccate doti di ball carrier, il rugby italiano si affida per guidare la generazione del dopo Parisse a risultati migliori con la Nazionale rispetto agli attuali: 22 sconfitte consecutive nel Sei Nazioni.
Gli allenatori dei club italiani l'hanno eletta giocatore del 2019 nel referendum annuale indetto dal Gazzettino.
«Il riconoscimento mi onora e motiva allo stesso tempo. È stato un onore iniziare a rappresenta il mio Paese, specialmente alla Coppa del mondo. Essere votato anche giocatore dell'anno è la ciliegina sulla torta».
Quale considera la sua miglior partita di questo anno d'oro?
«Con l'Italia contro il Canada in World Cup (eletto uomo del match, ndr). Sono riuscito a superare il record di giocatori battuti in una partita da un avanti. È la gara dove sono riuscito a esprimermi meglio, un momento speciale. Con il Gloucester contro i Saracens nei play-off. Abbiamo perso, ma essere protagonista di una semifinale di Premiership dopo il duro lavoro fatto durante la stagione è stata un'esperienza speciale».
Dove vive in Inghilterra e cosa faceva prima del rugby?
«A Bristol, dove sono nato. Ma intendo trasferirmi a Gloucester, dove gioco. È a 40' di auto. Prima lavoravo in una catena di fast food chiamata Subway».
Come è arrivata lì dall'Italia la sua famiglia?
«Mia nonna Luisa Polledri è originaria di Isola del Liri, vicino a Roma. È emigrata nel Regno Unito dopo la Seconda guerra mondiale e ha incontrato mio nonno John mentre lavorava in una gelateria nella regione del Cornwall. Si sono trasferiti a Bristol dove hanno aperto un bar. Entrambi hanno lavorato duro per assicurarsi un buona pensione in Italia. Purtroppo il nonno è morto prima di tornare».
Suo padre Peter è stato un terza linea come lei, leggenda a Bristol: 15 stagioni, 462 presenze. Come si sente da figlio d'arte?
«È fantastico avere un padre rugbista. Lui voleva fortemente vedermi giocare bene e mi ha trasmesso tale motivazione, anche attraverso critiche costruttive. Il suoi stimoli mia hanno aiutato molto a crescere».
Ha sempre vissuto a Bristol?
«Sì, sono venuto in Italia solo in vacanza e in seguito quando ho giocato con la Nazionale under 20 al Mondiale».
Come ha scelto il suo ruolo?
«Ho sempre giocato terza linea fin da piccolo, perché era il ruolo di mio padre e quello in cui più mi piaceva di più stare».
La sua miglior qualità e quella dove deve migliorarsi di più?
«Le mie migliori attitudine sono fare il portatore di palla, ball carrier, e la velocità di corsa, quando ce n'è bisogno. La cosa che dovrei migliorare di più è l'abilità di saltare in touche».
Perché è finito a giocare con l'Italia e non con l'Inghilterra?
«Perché avevo già giocato nell'Italia under 20 al Mondiale e Sei Nazioni. Appena firmato per il Gloucester il ct Conor O'Shea mi ha contattato e ho colto l'opportunità».
Parla l'italiano?
«Lo capisco molto più di quanto lo parlo. Lo sto studiando in una scuola serale. Impararlo è il mio obiettivo fuori dal campo».
Perché l'Italia ha perso 22 match consecutivi nel Sei Nazioni? Nel 2020 interromperà questo record negativo?
Nessuna risposta.
È una nazionale così debole rispetto alle avversarie?
«Non credo sia debole. Il Sei Nazioni raduna le migliori squadre del mondo ed è sempre una sfida per un Paese come l'Italia dove stiamo sviluppando le nostre basi rugbistiche. In aggiunta, qui ci sono solo due squadre professioniste da dove selezionare i giocatori, per cui non abbiamo la profondità di altre nazioni».
Cosa si aspetta dal nuovo ct Franco Smith?
«Non mi ha contattato e nessuno me l'ha presentato. Quindi non sono in grado di fare un commento. Ho sentito dire che è un grande allenatore e non vedo l'ora di lavorare con lui».
Quanti stagioni di contratto ha ancora con Gloucester?
«Altri due anni dopo questa».
Le piacerebbe voi venire a giocare al Benetton o alle Zebre?
«Sì, ho sempre considerato l'idea di spostarmi in Italia per giocare in uno dei due club. Mi è sempre piaciuto trascorrere il mio tempo in Italia. Il Paese è bellissimo. Treviso e Zebre sono grandi club che giocano un tipo emozionante di rugby».
E' vero che il suo compagno Braley si trasferirà a Treviso o alle Zebre già la prossima stagione?
Nessuna risposta.
Quanto è importante giocare in Premiership per crescere tecnicamente? Oggi è il più importante campionato di club al mondo?
«La Premiership è un campionato competitivo e logorante. Ma non posso comparare il suo valore, non avendo giocato in altri leghe rugbistiche. Le cose che impari in una squadra come il Gloucester sono importanti per un giocatore giovane come me».
Un augurio per il 2020, dal rugista dell'anno 2019: fatto a lei stesso, al suo club e alla nazionale italiana.
«Per me: spero di continuare a migliorare il mio italiano. Per il Gloucester: abbiamo avuto un inizio di stagione lento. Mi piacerebbe che la squadra raggiungesse un buon livello e una continuità di gioco. Per l'Italia: ripartire da dove eravamo rimasti alla Coppa del mondo e continuare a rafforzarci come squadra»
Ivan Malfatto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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