Schiavonia, il dolore e l'ansia in 100 scatti

Sabato 30 Maggio 2020
LA CURIOSITÁ
PADOVA Una lunga fila di letti vuoti, sistemati in corridoio perché ora che hanno assolto il compito di accogliere chi è guarito e chi non ce l'ha fatta, attendono di essere sanificati. E poi i corridoi senza nessuno, il bar deserto, le scale e gli atri che sembrano appartenere a un luogo abbandonato, le sale d'attesa dove nessuno aspetta e le finestre semichiuse che lasciano solo immaginare cosa c'è dietro. Tutto ciò, e molto di più, è stato immortalato all'ospedale di Schiavonia durante l'emergenza Covid. A scattare 100 foto, una ogni giorno di quel tragico periodo, è stato il dottor Nino Calabrò, primario del reparto di Urologia, una dei sanitari dell'unità di crisi del nosocomio monselicense durante la pandemia.
E ieri, il direttore generale Domenico Scibetta ha deciso di postare sul sito Facebook dell'Ulss 6 Euganea tutte queste immagini. Una sequenza da brivido, di cui colpisce il silenzio e da cui traspare quanta sofferenza c'era dietro. Non si vedono persone, però si intuiscono con straordinaria efficacia il dramma dei malati e dei loro parenti, l'impegno allo stremo di medici, infermieri e personale, ma anche la speranza, di cui è emblema un uccello immortalato dallo specialista mentre spicca il volo davanti a una vetrata.
LA DECISIONE
Lo stesso Scibetta non nasconde di essere stato toccato nel profondo dalle sensazioni che suscita questa cronistoria per immagini dello tsunami Coronavirus a Schiavonia. «Nel guardarle - commenta - non nascondo di essermi commosso. Mi ha colpito il silenzio di quegli scatti. Somigliano ai quadri di Edward Hopper, pittore statunitense famoso per i suoi ritratti caratterizzati da solitudine e paesaggi deserti. Pure le foto scattate da Calabrò fanno percepire l'angoscia e la sofferenza, anche se non immortalano figure umane. Con delicatezza e sensibilità ha messo insieme giorno dopo giorno la sequenza di quanto è avvenuto in questo periodo difficile e ha usato le immagini in bianco e nero per esaltare le situazioni più drammatiche. E c'è riuscito perfettamente».
«Mi piacerebbe - ha concluso Scibetta - che ora queste cento foto diventassero un racconto sulla storia di Schiavonia dove, esattamente 100 giorni fa, cominciava l'emergenza Coronavirus in Veneto, con l'accertamento dei primi due pazienti positivi. Alla lunga notte in ospedale seguì la decisione di evacuare la struttura e di trasformarla in Covid Hospital provinciale. Ecco, questa metamorfosi è raccontata perfettamente dagli scatti del primario di Urologia. Quel 21 febbraio non è poi così lontano e il virus circola ancora. E per ricordare che i contagi si evitano con la responsabilità di tutti, lasciamo che a parlare siano proprio i cento istanti colti dal nostro primario. Non dimentichiamo che quella del Covid è una ferita ancora aperta».
IL PROTAGONISTA
Nino Calabrò quelle foto le aveva custodite nel telefonino. Solo qualcuna era finita sul suo profilo Facebook, ma ieri ben volentieri ha accolto la richiesta del direttore generale di condividerle con tutti. «Mi fa piacere - ha commentato - che siano piaciute. La prima l'ho scattata già la notte del 21 febbraio, quando è scoppiata l'emergenza. A ispirarmi sono state le situazioni che mi trovavo davanti, intrise di angoscia, ansia, ma anche caratterizzate dall'azione».
«C'è pure l'immagine di una felicità momentanea, quando sembrava che le criticità maggiori stessero finendo, mentre poi si è verificata una ricaduta. Alla fine ho ripreso i letti abbandonati, uno in fila all'altro, finalmente tolti per lasciar spazio a quelli dei pazienti che devono curare patologie diverse dal Coronavirus. Saranno sanificati, come tutti i dispositivi venuti a contatto con il virus. Poi finalmente finiranno in magazzino». «Abbiamo cercato - ha concluso il primario di Urologia - di far fronte a tutte le necessità. E in questo contesto di enorme sofferenza ho cercato di interpretare una tragedia così grande attraverso gli scatti che ho fatto con il mio telefonino, tentando di cogliere le sensazioni che trasmetteva ogni angolo del nostro ospedale».
Nicoletta Cozza
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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