LA PARTITA CHIAVE
PORDENONE Manca circa un mese, ma è quello cruciale. Si

Giovedì 6 Maggio 2021
LA PARTITA CHIAVE
PORDENONE Manca circa un mese, ma è quello cruciale. Si è scelto di riaprire le scuole prima delle attività economiche, quando il Friuli Venezia Giulia era ancora in zona rossa. Si era a conoscenza del rischio potenziale, perché la variante inglese - è dimostrato - ha una capacità di diffusione tra i più giovani almeno del 30 per cento superiore. Serviva quindi un'arma anti-focolai, in grado di spegnere gli incendi sul nascere. E proprio in questi giorni il modello ha mostrato di poter funzionare, con la provincia di Pordenone come capofila di un metodo vincente: la task force speciale del Dipartimento di prevenzione, infatti, grazie alle quarantene rafforzate ma selezionate, sta limitando i danni del contagio tra i più piccoli.
INTERVENTI
Il caso emblematico è quello di Valvasone Arzene, dove alla scuola elementare Silvio Pellico è scoppiato un focolaio di 16 persone, per la maggior parte alunni. Alti episodi hanno riguardato Roveredo e Caneva, dove gli asili sono stati temporaneamente chiusi. Casi isolati, poi, hanno riguardato classi delle superiori un po' in tutta la provincia ma anche aule scolastiche del primo ciclo d'istruzione. Il dato più interessante però è un altro: nella seconda ondata, infatti, il contagio usciva dalle scuole e si diffondeva a macchia d'olio sul territorio, passando di famiglia in famiglia. Ora non succede più e i paesi non sono vittime dei cluster scolastici. Per arrivare a questo obiettivo, si è provveduto alla commistione di due provvedimenti: la circolare regionale che ha rinforzato le quarantene, estendendole anche ai genitori degli alunni, e l'applicazione di un metodo Pordenone, con una squadra di prevenzione interamente dedicata al trattamento dei casi all'interno degli istituti.
IL LAVORO
A spiegare come vengono spenti i focolai è Carlo Bolzonello dell'Azienda sanitaria del Friuli Occidentale. «La chiave - illustra - è la selezione delle persone da mettere in quarantena. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di salvaguardare in primis la scuola e oggi i risultati si vedono. Prima di chiudere un intero istituto, cerchiamo di fare il possibile per intercettare i possibili contatti che sono in grado di diffondere l'infezione». Infatti si è arrivati ai sigilli solo in casi rari, spesso legati alle dimensioni ridotte degli istituti. «La cosa più semplice da fare - va avanti Bolzonello - è chiudere tutta una scuola. Ma noi non vogliamo arrivarci. Per questo impieghiamo molto tempo e molte risorse al fine di compiere indagini a tappeto, a 360 gradi com'è avvenuto a Valvasone, dove abbiamo indagato anche sugli spostamenti degli alunni a bordo degli scuolabus. La cosa più difficile è convincere un genitore a dover stare a casa in quarantena. Dobbiamo spiegare bene la natura di un provvedimento che può essere fastidioso ma che è fondamentale per limitare i contagi».
LE PROTESTE
Non sempre, però, va tutto per il verso giiusto. Si moltiplicano, infatti, i casi riferiti ai familiari degli alunni che finiscono in quarantena ma che fanno fatica ad accettare il provvedimento. Di solito le lamentele arrivano sulle scrivanie dei sindaci, impotenti di fronte a decisioni che spettano solamente all'autorità sanitaria, cioè all'Azienda del Friuli Occidentale. L'insofferenza, però, è un fattore di cui tenere conto. Manca un mese alla fine delle scuole e la partita più importante si gioca su questo fronte: se il sistema dovesse reggere, sarebbe un passo importante per l'uscita dalla fase calda della pandemia.
Marco Agrusti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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