L'ordine di Mariarosaria: zitte sul profilo Facebook

Martedì 20 Dicembre 2016
L'ordine di Mariarosaria: zitte sul profilo Facebook
Un profilo Facebook che doveva restare segreto e una ragazza angosciata fino al punto di pensare al suicidio perchè temeva di aver istigato il fidanzato Giosuè Ruotolo a uccidere. In Corte d'assise a Udine, dove si sta processando il ventisettenne di Somma Vesuviana per il duplice delitto del 17 marzo 2015 nel parcheggio del palasport di Pordenone, sfilano le amiche di Mariarosaria Patrone. Con le loro testimonianze - pur tra lacrime e tanti non ricordo - i pm Pier Umberto Vallerin e Matteo Campagnaro cominciano a imbastire la tela che rivelerà il presunto movente dell'omicidio di Teresa Costanza (30 anni) e Trifone Ragone (28): una vendetta dopo che Trifone picchiò Ruotolo per i messaggi velenosi inviati alla sua convivente sulla chat di Facebook.
È stata un'udienza carica di tensione. Una delle testimoni ha avuto un crollo emotivo. Ruotolo ha dovuto ascoltare dei tradimenti della fidanzata, delle confidenze che faceva alle amiche sulla loro vita sentimentale e perfino sulla loro intesa sessuale. A un certo punto la presidente Angelica Di Silvestre, per tutelare la privacy di una testimone, ha proseguito l'audizione a porte chiuse per una decina di minuti.
Tutte e tre le testimoni hanno detto che l'amicizia con Mariarosaria si è rotta dopo le dichiarazioni rese agli inquirenti. Tra novembre e dicembre 2015, infatti, Rosa Fragliasso, 25 anni, laurea in Giurisprudenza, la psicologa Anna Mena Rea (29) e la studentessa universitaria Claudia Piccolo (25) aprirono uno scorcio inaspettato ai militari del Nucleo investigativo di Pordenone e ai pm che le interrogarono a Somma Vesuviana. Raccontarono di essere state contattate dalla fidanzata di Ruotolo. L'ordine - con tanto di pizzini - era di non dire nulla nè sul profilo Facebook Anonimo Anonimo creato per avvertire Teresa dei tradimenti di Trifone, nè dello stato di agitazione di Mariarosaria.
Anna Mena Rea ha spiegato che la Patrone - a sua volta indagata di favoreggiamento - riteneva che Anonimo Anonimo «fosse un elemento che collegava Giosuè a Trifone» e che gli inquirenti avrebbero potuto «ricamarci sopra». «Ci disse che Giosuè aveva creato il profilo in caserma e non lo aveva detto negli interrogatori. Disse che avevano fatto una stupidaggine, che lei aveva fatto un accesso con il telefonino da Somma Vesuviana e Giosuè si arrabbiò molto perchè temeva di essere scoperto. Per me stava esagerando, ma la preoccupazione era forte perchè Giosuè non aveva un alibi e nessuno poteva confermare che al momento del delitto giocava alla Playstation».
Anche Claudia Piccolo ha confermato le preoccupazioni della Patrone, legate anche al fatto che c'era «un'ora in cui non sapeva che cosa Giosuè avesse fatto». L'amica le chiese: «È stato lui?». «Lei - secondo la teste - allargò le braccia come se avesse dei dubbi». Dopo il colloquio con i carabinieri, la Rea andò dalla Patrone: «Mi sentivo in colpa per aver riferito del profilo Facebook. Le consigliai di dire tutto quello che sapeva. Lei si spaventò parecchio, ricordo la faccia spaventata».
Tutte e tre le amiche sapevano che il rapporto tra Ruotolo e la Patrone era in crisi. Che i due erano gelosi e che Mariarosaria temeva Trifone: aveva la fidanzata, ma la tradiva, e lei era convinta che potesse avere una cattiva influenza su Giosuè. L'elemento strano, emerso da tutte e tre le testimonianze, è che la Patrone ha riferito alle amiche dell'omicidio solo dopo diverse settimane. Poi, durante un viaggio in auto, tutte e quattro dirette al The Dream di Pomigliano, parlò del delitto. Nessuna ricorda esattamente in che termini. «Diceva cose assurde», si è limitata a riferire Rosa Fragliasso.
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