L'AUDIZIONE
ROMA Gianni Zonin per la prima volta parla dopo la tempesta perfetta

Giovedì 14 Dicembre 2017
L'AUDIZIONE
ROMA Gianni Zonin per la prima volta parla dopo la tempesta perfetta che ha polverizzato la Popolare di Vicenza ed è una difesa a tutto campo con un solo affondo all'indirizzo dell'ex amministratore delegato Francesco Iorio: «Ha contribuito molto al disastro della nostra banca».
Le quasi tre ore di audizione di Zonin davanti alla commissione d'inchiesta bicamerale sulle banche sono stati costellati da molti non ricordo e da due sottolineature ripetute: «Non ho mai ricevuto pressioni dalla Banca d'Italia» né ha mai avuto rapporti privilegiati con l'istituto centrale e «non ho mai preso decisioni operative: non avevo deleghe, i crediti sopra i 50 milioni erano approvati da tutto il cda, sotto se ne occupavano i manager» del momento. «Mai avuto idea dei finanziamenti baciati, le uniche segnalazioni mi sono arrivate da una lettera di un ex dipendente e da una segnalazione di un socio in assemblea, verificate dall'allora direttore generale Samuele Sorato e dal collegio sindacale: in entrambi i casi mi è stato detto che non c'erano problemi». L'unico momento secretato di tutta l'audizione ha riguardato una lettera della Banca d'Italia.
MANCATA FUSIONE
I commissari hanno incalzato l'ex presidente per quasi vent'anni anche sulla mancata fusione con Montebelluna: «Con Veneto Banca gli incontri non furono solo il 27 dicembre del 2013 ma ce ne sono stati quasi annualmente qualcuno, nel pensiero del nostro cda e anche dei nostri soci era vista con interesse una fusione che portava a un istituto di oltre mille sportelli, anche Veneto banca era una banca molto valida con alcuni istituti anche all'estero, sarebbe stata un'ulteriore ricchezza per la nostra regione. Quasi sempre gli incontri erano in un'abitazione del sottoscritto perché quando si va in un ristorante ti sentono in tanti». Il vertice ad Aquileia del 27 dicembre però non era stato suggerito da Bankitalia malgrado le dichiarazioni a verbale di Consoli: «Non c'è stata nessuna pressione, ma era un'idea del sottoscritto e del cda. Abbiamo discusso 5 minuti, quando abbiamo capito che non c'era la volontà dall'altra parte abbiamo parlato d'altro e cenato». Nessuna telefonata dal governatore della Banca d'Italia? «Nessuna, gli avrò parlato un paio di volte al massimo. E comunque resto dell'idea che la fusione fosse un'idea buona». I commissari non soddisfatti gli hanno chiesto anche della fallita quotazione in Borsa e del consorzio di collocamento capitanato da Unicredit. Perché la banca allora diretta da Federico Ghizzoni si è ritirata? «Non so, se ne è occupato Iorio, che ha contribuito molto al disastro della nostra banca». Iorio era l'amministratore delegato che ha sostituito Sorato nel giugno del 2015. Zonin non lo dice, ma la sua scelta era caduta sull'ex Divo Gronchi, bocciato pare dalla Bce.
Il presidente Casini, che all'inizio aveva avvertito come la Commisisone non fosse un quarto grado di giudizio, qualche volta è corso anche in aiuto di Zonin ma alla fine si è spazientito pure lui quando l'ex presidente più volte aveva fatto presente che era tardi e stavano avendo problemi per il ritorno: «Qualche penitenza tocca a tutti», la battuta di Casini.
BANCA ETRURIA
Su Banca Etruria, Zonin si è limitato a definire i vari passaggi: «Delle banche d'affari ci hanno detto che si poteva acquisire, saremmo diventati il secondo istituto della Toscana dopo Mps, ci siamo rivolti a Mediobanca racconta il presidente -. Abbiamo predisposto un'Opa, valutato da 0,9 a un euro questo istituto, circa il 15% in più rispetto ai prezzi correnti in Borsa. Mi sembra che l'offerta fosse sui 212 milioni e 500mila euro dettaglia sorprendentemente per un'operazione del maggio 2014 -. Dopo qualche giorno ci è stato risposto negativamente. E abbiamo lasciato stare, noi per principio non facciamo Opa ostili». Tutte le decisioni per Zonin erano prese collegialmente: «Il cda era composto da diversi membri, poi c'erano i sindaci, diversi comitati di controllo. I poteri dell'Ad erano ampi, il presidente non aveva nessuna delega. Io non ho mai partecipato a un comitato esecutivo».
LE BACIATE
Nessuno si è accorto della crisi gli chiede più di qualche commissario: «Avevamo anche i controlli di Kpmg e quasi ogni anno quelli della Banca d'Italia, poi qualche volta Consob risponde il presidente - il finanziamento del capitale non era mai arrivato a conoscenza del cda, almeno fino al maggio del 2015 quando ho incontrato un capo ispettore della Bce. Ho chiesto subito conto a Sorato della cosa». Sul valore delle azioni si è smarcato così: «Fino al 2007 o 2008, c'era un ufficio interno che a fine anno in base all'andamento del bilancio portava all'attenzione del cda il valore del titolo, di solito c'erano pochissime differenze. Nel 2008 o nel 2009 la Banca d'Italia scrive che doveva essere cambiato il sistema di valutazione del titolo, deve essere fatto da un perito di elevato standing che abbiamo scelto tra i migliori». Che hanno sempre approvato la quotazione monstre di 62,5 euro.
Fuoco di fila di domande anche sugli ex Banca d'Italia assunti negli anni dalla BpVi: «Gianandrea Falchi mi era stato presentato dal dottor Sergio Vento, ambasciatore d'Italia a Washington: È una persona molto brava, può darti una mano, arriva la Bce. Noi pensavano di essere una banca grande ma avevamo bisogno di aiuto e abbiamo preso questo consulente». Insomma le porte girevoli non sono esistite: «Io mi aspettavo che mi si dicesse grazie che siamo andati a prendere le professionalità dove ci sono. Allora cosa si deve dire di Unicredit che ha preso l'ex direttore di Bankitalia Saccomanni? Per me ha fatto benissimo». In ogni caso «non era compito del presidente assumere il personale, ma del direttore generale».
Maurizio Crema
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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