«Il tanko dei Serenissimi aveva sparato colpi di prova»

Mercoledì 17 Aprile 2019
«Il tanko dei Serenissimi aveva sparato colpi di prova»
PROCESSO AI SERENISSIMI
ROVIGO Il tanko, la ruspa blindata sequestrata in un capannone di Casale di Scodosia nell'aprile del 2014, aveva già sparato dei colpi di prova. A dirlo sono stati ieri, nel corso della nuova udienza del processo ai 15 indipendentisti chiamati a rispondere dell'ipotesi di reato di fabbricazione e detenzione di arma da guerra, i due testimoni dell'accusa, il tenente colonnello Matteo Longhi, esperto balistico del Ris di Parma, e un maresciallo del Ros di Brescia, che ha competenza investigativa sull'eversione oltre che sulla criminalità organizzata. Il primo si è soffermato sulle caratteristiche dei reperti sequestrati, definito un sistema d'arma a canna corta, saldato e montato su una piastra d'acciaio, completo tranne che per la mancanza di tre viti ordinarie, e un'ulteriore canna liscia di 98 centimetri, «per realizzare la quale servono competenze elevate».
RESIDUI SULLA CANNA
E, nella canna corta, ha detto di aver trovato residui di piombo e antimonio compatibili con l'esplosione di capsule d'innesco. E' stato il maresciallo dei Ros, che ha riferito su tutte le indagini condotte inizialmente dalla Procura di Brescia, a confermare come sulla base delle intercettazioni ambientali e telefoniche fosse emerso che, il 4 gennaio 2014 era stata eseguita una prova di sparo all'interno del capannone di Casale di Scodosia, con Marco Ferro, 52 anni, di Arquà Polesine, responsabile delle operazioni sperimentali di armamento, e Luigi Massimo Faccia, 64enne di Conselve, che secondo la ricostruzione del maresciallo sarebbe risultato uno dei più attivi nella gestione della costruzione del tanko e che in più di un'occasione avrebbe manifestato entusiasmo per la buona riuscita della prova. Le indagini del Ros di Brescia, ha spiegato il maresciallo, hanno preso le mosse nel novembre del 2011 quando viene riferito che un soggetto bresciano si era attivato insieme a soggetti veneti che avevano partecipato al blitz del maggio del 1997, con l'occupazione di piazza San Marco, «per costruire uno o più mezzi blindati per compiere azioni eclatanti in Veneto o in Lombardia». Dagli approfondimenti, ha spiegato, è emerso un finanziamento arrivato dalla Sardegna e la presenza di una sorta di organizzazione a vari livelli. Nel febbraio 2012 viene circoscritta l'area dove poteva essere il capannone con un mezzo in corso di blindatura, nella zona di residenza di un soggetto storico del secessionismo, Flavio Contin, residente proprio a Casale. Il capannone, definito arsenale, viene scoperto, con la ruspa ancora senza blindature, l'8 settembre 2012, in via Veneto, e viene riempito di telecamere e cimici. Nel frattempo, ha spiegato ancora il maresciallo del Ros, il gruppo si attiva «per il reperimento di armi corte e lunghe oltre che per dotare il manufatto di un cannoncino».
PERSONALE ESPERTO
Viene così contattato Michele Cattaneo, 39enne bresciano, tornitore di professione, che produce armi per le rievocazioni storiche, nonché un 37enne ingegnere, di origini moldave ma residente a Cremona, Alexandru Budu, che avrebbe predisposto i disegni tecnici. Dalla mole di intercettazioni, una cui estrema sintesi di 287 pagine è entrata ieri negli atti del processo, emergerebbero i contatti e i rispettivi ruoli dei 15 imputati. Ed emergerebbero anche frasi, indirettamente riferite dal maresciallo del Ros, come «c'è la possibilità di ricorrere alla violenza, con spargimento di sangue».
Francesco Campi
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