IL DIBATTITO
VENEZIA Non ce n'è uno, nel Pd veneto, che mostri entusiasmo

Giovedì 26 Aprile 2018
IL DIBATTITO VENEZIA Non ce n'è uno, nel Pd veneto, che mostri entusiasmo
IL DIBATTITO
VENEZIA Non ce n'è uno, nel Pd veneto, che mostri entusiasmo di fronte all'ipotesi di un governo con il M5s. I più sono contrari o quantomeno scettici. Pochissimi ritengono che il confronto con i pentastellati sia una strada obbligata e scontata. Perplessità che si intrecciano con il dibattito che alcuni esponenti hanno tentato di avviare sul futuro del partito. Ossia: il Pd va rigenerato o rifondato? Cambiato o cestinato?
ROSSOVERDE-GIALLO
«Un governo con i Cinque stelle? A me non convince - dice il sottosegretario all'Economia, Pierpaolo Baretta - Giusto sedersi e confrontarsi, perché così tutti, compreso il M5s, vengono messi davanti a una responsabilità. Ma un governo Pd-M5s mi sembra non convincente, sono partiti che hanno due prospettive diverse: noi riformisti, loro massimalisti». E se il Capo dello Stato proponesse un governo del presidente? «Beh, non potremmo dire di no», dice Baretta. Che auspica un coinvolgimento della base: «Bisognerà sentire in qualche modo i nostri iscritti». Scettico Paolo Giaretta, primo segretario del Pd veneto: «Un governo con il M5s è molto difficile. È vero che se c'è la buona volontà si può trovare un'intesa su alcuni punti programmatici, ma il fatto è che c'è una differenza di base elettorale e di idea di democrazia. E poi non credo che sia del tutto chiuso il forno Salvini, può darsi che si riapra dopo il voto di domenica in Friuli Venezia Giulia». Ma se Pd e M5s trovassero l'intesa? «Non con Di Maio premier». Più possibilista è il capogruppo in Regione, Stefano Fracasso: «La ritengo un'ipotesi difficile, ma non ho pregiudiziali». E ancora di più il consigliere regionale Graziano Azzalin: «Se le convergenze programmatiche sono concrete, un governo Pd-M5s va considerato seriamente». Uno dei pochi favorevoli è Matteo Bellomo, della segreteria regionale del partito: «Tramontato lo scenario di stare all'opposizione visto che un governo Lega-M5s non ci sarà per ammissione di Di Maio, a questo punto per la nostra gente va bene approfondire la possibilità di un governo con i pentastellati. Sempre meglio che ritrovarsi in un governo di scopo con Forza Italia e Lega». Critici i giovani: «Dopo il risultato elettorale e dopo tutto quello che ci hanno detto, preferirei stare all'opposizione - dice Monica Sambo, consigliera comunale a Venezia - È vero che su alcuni punti, green economy, legalità, ambiente, siamo più vicini ai Cinque stelle, ma ce ne sono tantissimi altri su cui siamo distanti. Ammetto però che forse sarebbe un modo per stanarli». Alberto Restucci, segretario dei giovani dem veneziani, pone un paletto: «Io non sono d'accordo, ma se deve esserci un confronto, che sia sul nostro programma».
IL PARTITO
Come dice Giaretta, forse «il vero tema è capire cosa vuol fare il Pd»: «C'è stata la sconfitta del referendum del 4 dicembre, poi la sconfitta alle Politiche del 4 marzo, ma il dibattito non è ancora iniziato. È perché manca la ragione dell'impresa che si perdono voti». Tema rilanciato in queste ore dal deputato Diego Zardini attraverso un articolato intervento intitolato A cosa serve il Partito Democratico?. «Va ripensata la funzione del Pd e adeguata la parte statutaria», dice Zardini, che peraltro non condivide le conclusioni cui è giunto il suo collega veronese Gianni Dal Moro di creare un nuovo partito. «Così com'è - dice Andrea Martella, coordinatore dell'area Orlando a livello nazionale - il Pd è un partito svuotato, privo di confronto interno, che ha inseguito alcune forme di populismo e ha pagato un prezzo e ha inseguito politiche moderate, pagando un altrettanto caro prezzo, così che le elezioni politiche sono state una sconfitta strategica, storica. Così com'è il Pd non ha speranza. Bisogna vedere se si può rigenerarlo, ma ci vorrebbe una vera e propria costituente. E soprattutto dare un senso di sinistra e di centrosinistra che ora non c'è». Per il deputato Roger De Menech il Pd «va cambiato», ma chiede: «Dentro il cambiamento mettiamo il nome? Mi sembra l'ultimo dei problemi. Prendiamo l'approccio che abbiamo avuto sui migranti: non sarebbe cambiato nulla se al posto di Pd ci fossimo chiamati un altro modo, comunque lo slogan di Salvini, tutti a casa, sarebbe stato più efficace. È una fase politica, ci sono stati degli errori, va posto rimedio. Ma il brand conta poco». Convinto che il Pd vada rifondato è il deputato Nicola Pellicani: «Se vogliamo il bene del centrosinistra bisogna uscire dalla retorica di rifare un partito con un format che non va più bene. I circoli sono in grave crisi di iscritti, di risorse, di rappresentatività del territorio. Serve un partito nuovo, non un nuovo partito». Giaretta, considerato il padre nobile dei dem, scuote la testa: «Io sono molto preoccupato che il Pd possa ancora resistere. Servirebbe il valore dello stare insieme. Ma ci interessa davvero stare insieme?».
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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