Da Pasimeni a Stivanin: odio, follia e vendetta, quando il figlio uccide papà

Lunedì 27 Marzo 2017
Da Pasimeni a Stivanin: odio, follia e vendetta, quando il figlio uccide papà
Mancavano pochi minuti alla mezzanotte del 12 febbraio 2001. E negli uffici della Squadra mobile si udì un urlo bestiale, che fece accapponare la pelle a tutti. L'urlo era stata la confessione di Paolo Pasimeni, ventunenne, studente universitario, che 24 ore prima aveva ucciso il padre, docente alla facoltà di Chimica, e poi ne aveva bruciato il cadavere. L'urlo era stato udito anche dalla sorella Manuela, in attesa nei corridoi. Lei aveva fornito agli investigatori un alibi per scagionare Paolo. Anche il giovane fremeva per andarsene. Ma il pubblico ministero Paolo Luca e gli uomini della Mobile non avevano mai smesso di interrogarlo. Prima di essere portato nella casa circondariale di strada Due Palazzi, il ventunenne aveva abbracciato la sorella: «L'ho ucciso io e l'ho fatto anche per te», le aveva detto. Pasimeni verrà poi condannato a tredici anni e mezzo di carcere. Il delitto è avvenuto di domenica pomeriggio nel Centro interchimico universitario di via Marzolo. Il padre, Luigi Pasimeni, stimato docente di chimica, aveva costretto il figlio a seguirlo all'Università anche nel giorno di festa. Paolo e la sorella Manuela hanno sempre dichiarato che stare con il padre era una vita infernale. Ma quel giorno il professor Luigi Pasimeni aveva contestato al figlio delle irregolarità nella registrazione di due esami. Insomma, erano stati falsificati. Paolo Pasimeni ha perso la testa e ha picchiato il genitore. Pugni e calci da arte marziale, violenti a tale punto da tramortirlo. Poi ripetuti colpi inferti al capo con il manico metallico di uno strozzatore per pavimenti, fino a fargli schizzare via pezzi di cranio. Forse il professor Pasimeni era ancora vivo quando il figlio lo ha caricato su un carrello e lo ha portato in un angolo del cortile interno della facoltà. Ha cosparso il corpo del padre di solvente e l'ha incendiato.
Con l'indulto del 3 agosto 2006 era uscito dal carcere di strada Due Palazzi anche Eugenio Michelotto, quarantatreenne di Villafranca. Il 27 gennaio 1994 ha assassinato il padre Amedeo con 13 coltellate e ha ferito gravemente anche la matrigna. Un delitto per il quale l'uomo ha scontato la sua pena, finché l'indulto non gli ha accorciato la detenzione. Ma qualche anno dopo si sono riaperte le perte del carcere per Michelotto. L'accusa era di aver sottoposto i familiari a minacce e vessazioni.
Giovanni Mezzalana, detto Carlo, era originario di Piove di Sacco. Il 23 novembre 2007 aveva 53 anni ed era in argentina da quasi quindici. Ebbene, quella mattina il figlio diciassettenne, pure lui nato a Piove di Sacco, si è svegliato prima delle 6 per andare a scuola. Ma non ha svegliato il fratellino di 10 anni, che dormiva nella stessa stanza. È andato a prendere il fucile Mauser, che era carico da giorni. Se l'è messo in spalla ed è entrato nella camera del genitore. Gli ha puntato l'arma alla testa, sopra l'orecchio destro. E ha fatto fuoco.
Livio Stivanin ha afferrato il padre al collo. Con i pollici ha premuto sulla carotide e lo ha ammazzato. Almeno quattro interminabili minuti di strangolamento per strapparlo alla vita. Testimone della tragedia la madre, attraverso la finestra della cucina. Livio l'aveva chiusa fuori per uccidere il padre. Era il pomeriggio del 15 marzo 2011. Livio Stivanin aveva 46 anno e faceva l'operaio metalmeccanico. Padre di due figli si era separato ed era andato a vivere con i genitori a Grantorto. Il padre, Massimiliano, settantaduenne, era convalescente per un intervento a una gamba. E gli avevano preparato una camera da letto da basso perché non poteva fare le scale. La madre aveva visto il figlio sdraiarsi sopra il padre e strangolarlo.

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