CARMIGNANO DI BRENTA
Preso dalla disperazione, un falegname di Carmignano ha

Sabato 25 Gennaio 2020
CARMIGNANO DI BRENTA
Preso dalla disperazione, un falegname di Carmignano ha pensato anche al suicidio, pur di sottrarsi al ricatto e alle violenze di Domenico Multari, il boss della ndrangheta trasferitosi con la famiglia a Zimella, nel Veronese. Ma, alla fine, i carabinieri del Ros lo hanno aiutato e son riusciti a convincerlo a reagire, denunciando le estorsioni subite e contribuendo a raccogliere le prove che, ieri, hanno portato alla condanna del boss a 9 anni di reclusione.
CONDANNATI IN QUATTRO
Condannati anche il fratello di Domenico, Fortunato Multari (tre anni e due mesi) e i due figli, Alberto, 30 anni e Antonio, 25 anni, condannati rispettivamente a due anni e otto mesi e due anni di reclusione.
La storia del falegname di Carmignano, 67 anni, va raccontata in quanto finora, in tutti i processi a carico delle organizzazioni di stampo mafioso approdati di fronte ai giudici veneziani negli ultimi mesi, è l'unico che ha avuto il coraggio di costituirsi parte civile, ottenendo la condanna del boss al risarcimento degli ingenti danni a lui provocati, con una provvisionale di 330 mila euro. Il falegname ha raccontato agli investigatori, coordinati dal pm Paola Tonini, di essere stato costretto, nel corso degli anni, con violenze e minacce, a prestare ingenti somme di denaro a Multari, per un totale complessivo di poco meno di mezzo milione di euro. Ridotto sul lastrico, il piccolo imprenditore fu costretto a lasciare la propria abitazione, finita all'asta, e a trasferirsi a vivere in roulotte.
«MI SENTO LIBERO»
«Adesso ho paura, ma almeno ora mi sento finalmente libero - dichiarò al Gazzettino dopo gli arresti dell'Antimafia -. Nessuno si può immaginare quello che ho passato. Avevo intenzione anche di farla finita. Per due volte. E lo stavo per fare». «Stavo in una casa da 210 metri quadrati prima. Ho anche vissuto e dormito in auto e in roulotte - raccontò il piccolo imprenditore -. Senza acqua, senza nulla, per un anno, stavo con addosso tutti i vestiti e le coperte che avevo, con meno sette gradi... Mia moglie se n'è andata. I miei figli nemmeno mi guardavano. Tutti pensano che io avessi gozzovigliato e fatto chissà che cosa. Ci ho messo anni a riuscire a parlarne. Non mesi. Anni».
Il falegname ha iniziato a collaborare coi carabinieri nel maggio 2015, raccontando di aver conosciuto Multari una decina di anni prima, in occasione dei lavori per la realizzazione di una scuola a Lonigo di cui si stava occupando la sua impresa edile, la Imperial. Per essere ammesso alle forniture l'imprenditore padovano fu costretto a versare 30 mila euro al boss. Poi il falegname non fu più in grado di liberarsi del giogo di Multari: era sempre in credito e non riusciva a farsi restituire le ingenti somme di denaro. E il boss continuava a chiedergli sempre nuovi prestiti, pretesi con metodi violenti.
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