Sulle Piccole Dolomiti crolla un altro dente

Domenica 11 Aprile 2021
Sulle Piccole Dolomiti crolla un altro dente
LA MONTAGNA
Il profilo delle Piccole Dolomiti è cambiato. La frana che ha cancellato il Corno, una delle torri calcaree della catena del Fumante, ha trasformato uno dei paesaggi alpini più amati e frequentati del Veneto. Non ci sono state vittime. Anche a causa della stagione, del maltempo e delle limitazioni imposte dalla zona arancione, l'evento non ha avuto testimoni.
Insieme al paesaggio, in questi casi, cambia anche la storia delle montagne. «Su queste torri, e in particolare sul vicino Dito di Dio, sono state tracciate delle storiche vie di sesto grado, da maestri come Gino Soldà e Raffaele Carlesso, che continuano a essere ripetute e apprezzate» spiega Franco Perlotto, ex-sindaco di Recoaro Terme e alpinista famoso.
Perlotto, sulle Piccole Dolomiti, ha all'attivo vie nuove, prime solitarie e prime invernali. «La traversata delle guglie del Fumante, che il crollo del Corno ha reso impossibile, era un'arrampicata classica. Qualche anno fa la fessura all'attacco della via Soldà al Dito di Dio si poteva afferrare con le mani. Ora è diventata un camino, una spaccatura dove si entra con tutto il corpo», conclude l'alpinista.
A rendere instabili il Corno e le altre torri del Fumante potrebbe aver contribuito la frana del Rotolon, un gigantesco smottamento sul versante vicentino del massiccio, che viene monitorato dal 2010 dalla Regione Veneto e dal CNR, e che si trova sulla verticale del Fumante.
«Non è possibile dire se i due fenomeni siano collegati o meno. Certamente le Piccole Dolomiti, a causa della bassa quota e dell'esposizione a sud che causa dei forti sbalzi di clima, sono particolarmente soggette a crolli», aggiunge Carolina Sperman, geologa, che ha collaborato ai lavori per mettere in sicurezza e monitorare il Rotolon.
Tutte le montagne del mondo, dal Monte Bianco all'Himalaya, sono periodicamente segnate dalle frane. Le Dolomiti, con la loro roccia stratificata e fessurata, sono sempre state esposte a questi fenomeni, che a volte hanno dimensioni colossali. Quando i crolli riguardano zone famose o visibili dal fondovalle, la notizia arriva in prima pagina.
Nel 2004 ha destato preoccupazione il crollo della Torre Trephor, nel massiccio delle Cinque Torri, di fronte alle Tofane e a due passi da Cortina d'Ampezzo. Nel 2009, uno smottamento di dimensioni ancora maggiori ha devastato la Cima Una, nelle Dolomiti di Sesto, e la nuvola di polvere ha imbiancato la Val Fiscalina.
Nel 2016 un'altra grande frana ha segnato il versante meridionale del Sorapiss. Gli escursionisti che visitano il rifugio Agostini, sulle Dolomiti di Brenta, scoprono accanto all'edificio i blocchi che formavano la Torre Jandl, una guglia crollata sessantaquattro anni fa, nel 1957. Tornando ancora più indietro nel tempo, si arriva alla gigantesca frana che si è staccata dalle pendici della Civetta nel 1771, e che ha sbarrato la valle del Cordevole creando il Lago di Alleghe. Qualche decennio prima, nel 1737, uno smottamento caduto dall'Antelao aveva semidistrutto l'abitato di Borca.
Negli ultimi decenni, il cambiamento climatico ha reso le nostre montagne più fragili. I ghiacciai si riducono fino a scomparire del tutto, le sorgenti si asciugano, la fauna e la flora cambiano, le temperature più alte rendono meno stabile la roccia. Renato Colucci, geologo del CNR di Trieste, si occupa da anni del permafrost, lo strato di ghiaccio che esiste da millenni all'interno delle rocce e del suolo, e che serve da collante naturale. La sua riduzione contribuisce al distacco delle frane: «Ogni evento ha i suoi motivi, e dev'essere analizzato indipendentemente - spiega Colucci -. In Italia, al contrario che in Austria o in Svizzera, i dati sulla riduzione del permafrost sono ancora pochi, e non si può generalizzare. Però è chiaro che, dove la roccia è fratturata, lo scioglimento del ghiaccio favorisce crolli e frane».
Negli ultimi anni, Colucci e la sua équipe si sono occupati delle grotte delle Alpi orientali che ospitano delle colate di ghiaccio. In quella di Leupa, che si apre ai piedi del Monte Canin, sulle Alpi Giulie, dal 2014 il permafrost è scomparso. Da allora il ghiaccio si forma solamente d'inverno, e anche la stabilità delle rocce circostanti ne risente. È impossibile fare delle previsioni puntuali. Ma è certo che, nelle Alpi che continuano a riscaldarsi, le frane continueranno a cadere.
Stefano Ardito
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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