Soldi all'estero, Pipinato: «Chiedo scusa»

Venerdì 19 Aprile 2019
IL CASO
PADOVA «In passato ho fatto scelte sbagliate che oggi non rifarei, ma quando ne ho preso coscienza ho cercato di rimediare. La mia famiglia nulla sapeva di come gestivo la società calzaturiera». Esattamente una settimana fa scoppiava la bufera attorno al nome di Damiano Pipinato. Ora l'imprenditore padovano delle scarpe decide di parlare. Lo fa con una lunga lettera scritta «non per trovare una giustificazione, ma per chiedere scusa». La bufera che lo ha coinvolto è quella legata all'inchiesta sul presunto tesoro nascosto all'estero dall'ex governatore Giancarlo Galan. Dalle indagini della Finanza di Venezia è emerso un rodato meccanismo finalizzato all'evasione che avrebbe coinvolto negli anni scorsi almeno ventuno imprenditori veneti, pronti a trasferire somme milionarie nei paradisi fiscali grazie all'assistenza dei broker svizzeri Filippo San Martino e Bruno De Boccard e dei commercialisti padovani Paolo Venuti, Guido Penso e Christian Penso (tutti e cinque indagati). Pipinato non risulta indagato, ma il suo nome è uno dei più citati nell'ordinanza con cui il gip del Tribunale di Venezia dispone il sequestro di 12 milioni di euro sottratti all'Erario. Dalle carte depositate in Procura si parla complessivamente di 127 milioni nascosti all'estero a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, poi regolarizzati grazie allo scudo fiscale.
SCELTE SBAGLIATE
«Esprimo il mio rammarico per i fatti che mi riguardano, che hanno coinvolto involontariamente anche le persone a me più care: la mia famiglia, i miei fratelli e alcuni cari amici - sono le parole di Pipinato -. In passato ho fatto scelte sbagliate che oggi non rifarei, ma quando ne ho preso coscienza ho cercato di rimediare con i mezzi e gli strumenti che la legge metteva a disposizione. Ho quindi intrapreso una strada diversa: ho cambiato i professionisti e i consulenti che mi accompagnavano. Ho voluto sanare completamente la mia posizione. Ho fatto un cambiamento che ritenevo doveroso per la mia persona e per il mio ruolo di imprenditore. Ora anche se non ci sono conti aperti se non quello pesantissimo con l'opinione pubblica, c'è un problema con la mia coscienza. Non sono riuscito a sanare le ferite che si sono aperte in città e che coinvolgono le persone a cui voglio bene».
LA FONDAZIONE
Al castello di società utilizzate per schermare i movimenti finanziari appartiene la britannica Orden, che negli anni scorsi avrebbe offerto donazioni economiche alla Fondazione Fontana. Nel CdA di questa fondazione benefica siedono il vicesindaco di Padova Arturo Lorenzoni e don Gabriele Pipinato, vicario episcopale per i beni temporanei della Chiesa e, soprattutto, fratello dello stesso Damiano. Quanto basta per scatenare un altro polverone in città. «Scrivo per chiedere scusa della sofferenza provocata e per sottolineare la completa estraneità dei miei fratelli e della Fondazione Fontana rispetto a queste vicende - prosegue ora Pipinato - Vorrei chiedere scusa alla mia famiglia, ai miei fratelli e in particolare a don Gabriele, che nel suo delicato ruolo di vicario episcopale per i beni temporali, so quanto si stia impegnando sul fronte della trasparenza. Mi dispiace se quanto dipende da me possa anche solo aver suscitato un velo di dubbio sul suo operato o sul bene fatto attraverso le molte opere di carità che la Fondazione Fontana sostiene».
Gabriele Pipia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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