LE CARTE
VENEZIA La ndrina messa in piedi a Verona da Antonio Totareddu Giardino

Lunedì 8 Giugno 2020
LE CARTE VENEZIA La ndrina messa in piedi a Verona da Antonio Totareddu Giardino
LE CARTE
VENEZIA La ndrina messa in piedi a Verona da Antonio Totareddu Giardino era una «gemmazione locale della casa madre», cioè della cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Perché nel Veronese, «in un territorio finora poco aduso a queste modalità criminali, ci sono tutti gli ingredienti necessari per ritenere riprodotte fedelmente tutte le caratteristiche proprie di una consorteria mafiosa».
Lo scrive nero su bianco il giudice per le indagini preliminari di Venezia, Barbara Lancieri, nell'argomentare la contestazione dell'associazione a delinquere di stampo mafioso mossa dal pm antimafia di Venezia, Lucia D'Alessandro, ai principali artefici della costola scaligera della ndrangheta crotonese.
LE CARATTERISTICHE
«La consorteria veronese appare infatti caratterizzata da strutture organizzate in modo gerarchico, secondo regole interne che ricalcano sostanzialmente quelle delle altre locali della complessa organizzazione», continua il gip prima di tratteggiare ruoli e compiti di ciascuno. Dove chi comanda, Totareddu appunto, «detiene il potere di impartire direttive agli altri appartenenti alla stessa locale, irrogare loro sanzioni e muovere comunque rimproveri energici - si legge nelle 389 pagine di ordinanza di custodia cautelare che hanno portato ad arrestare 26 persone, tra carcere e domiciliari - Dirimere conflitti, curare i rapporti esterni con le altre articolazioni dell'organizzazione e gli esponenti di vertice della Provincia». Una «forza mafiosa» spesso «silente» che non sfocia per forza in reati ma dimostra il proprio legame di sangue con la ndrangheta perché «gli indagati hanno tenuto sia comportamenti volti solo ad evocare la fama criminale della consorteria Arena-Nicoscia, ma non sono mancati gli episodi in cui gli atti di minaccia e anche di violenza sono stati più che espliciti».
ESCLUDERE IL FIGLIO
Tra gli episodi che mostrano come sia forte il legame tra la cosca veronese e la casa madre di Isola Capo Rizzuto, è il «vile ricatto mafioso» messo in campo da Domenico Mercurio nei confronti di una persona che gli aveva fatto saltare un affare non onorando un debito. «La cosca locale in quel di Verona - spiega il gip Lancieri nell'ordinanza - mutua appieno le modalità della casa madre: avvertimenti, minacce esplicite e larvate, atti dimostrativi da parte di uomini scelti appositamente per portare a termine questo tipo di compiti». Tra gli episodi citati, anche la telefonata che lo stesso Mercurio - uno dei capi del sodalizio - fa riferimento alla propria appartenenza alla ndrina che non gli consentiva di prendere decisioni autonome. Per questo aveva deciso di non vedere più il figlio, per tenerlo fuori dai fatti di ndrangheta: «Ma è stata una mia scelta però...l'ho messo in condizioni di non farlo...perché poteva prendere una brutta strada...voleva seguire la mia cosa e allora...è dura eh! Perché ci soffro tutti i giorni perché...però è stato meglio. Quando ti vogliono colpire nella vita mia ti toccano i figli... non ti toccano a te».
GLI AIUTI
Che la ndrina veronese e Isola Capo Rizzuto siano innervate l'una con l'altra lo dimostra il passaggio dell'ordinanza in cui il gip parla di «mutuo soccorso». Qui il protagonista è Nicola Toffanin, l'avvocato. Rodigino di Occhiobello puntava a diventare il capo della cosca veronese. Parlando con il figlio di Michele Pugliese, Toffanin (che verrà interrogato oggi a Udine) affronta il discorso del pagamento delle spese legali per i carcerati. «Se hai bisogno siamo qua noi eh...guarda che adesso mi do da fare (...) cerco di raccogliere qualcosa per me e per lui (...) che allora facciamo mille e mille e ci spartiamo gli avvocati». È «mutuo soccorso» anche «l'imbasciata arrivata da giù» per «dare una lezione a qualcuno che si dimostrava già assai spaventato» e di cui disquisiscono ancora Toffanin e Francesco Vallone.
Toffanin però non ha remore nel mostrare di sporcarsi le mani: «Il responsabile sono io, non loro», dice in un passaggio al telefono con il figlio. «Loro lo fanno materialmente ma sono io che li carico psicologicamente, gli creo un obiettivo, è un discorso psicologico dietro». Quando il figlio gli dice di non aver «mai studiato queste cose qua e dove si studiano», lui replica: «processi, processi, libri...ma i libri al 90% scrivono...ma no, perché come fai a scrivere di qualcosa che non sai? Chi lo sa non lo scrive perché è legato a segreto». Un vanto, quello di essere ndranghetista, che Toffanin vuole trasmettergli. E il figlio: «viene utilizzato spesso in modo sbagliato» dirà al padre, riferendosi al termine mafioso.
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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