Le carte top secret dell'Oms «Così la Cina nascose i dati»

Mercoledì 3 Giugno 2020
L'INCHIESTA
PARIGI Un mese, trenta lunghissimi giorni passarono da quando un laboratorio privato cinese isolò la sequenza di un nuovo coronavirus responsabile di gravi polmoniti a Wuhan, il 27 dicembre, al momento in cui l'Oms dichiarò che c'era un'urgenza mondiale. L'allerta avrebbe potuto scattare prima, le misure di protezione alzarsi in tempo e molte vittime forse avrebbero potuto essere evitate se le autorità sanitarie cinesi avessero collaborato in modo più trasparente con i responsabili dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. È quanto emerge da una serie di documenti scritti e audio che l'agenzia Associated Press si è procurata e ha lungamente raccontato ieri sul suo sito. Ufficialmente, durante quel lungo mese di gennaio, l'Oms continuò a lodare «la cooperazione» dei cinesi, ma dietro le quinte, i funzionari dell'Organizzazione mostravano frustrazione e preoccupazione per i ritardi e le reticenze delle autorità, rispetto all'allarme che continuava a salire nella comunità medica e scientifica.
L'OMERTÀ
I documenti «segreti» rivelati dall'AP non danno a ragione a Trump, che ha tagliato i fondi all'Oms accusandola di «complicità» con la Cina, ma rivelano piuttosto l'impotenza dell'Organizzazione sanitaria a spezzare l'omertà delle autorità cinesi e il costante sforzo di non rompere i ponti con Pechino per poter comunque accedere alle informazioni e non recare danno ai medici al lavoro sul campo, che invano continuavano ad allertare. Da Pechino, le autorità hanno sempre smentito qualsiasi reticenza: «Dall'inizio dell'epidemia abbiamo condiviso le informazioni con l'Oms e con la comunità internazionale in modo aperto, trasparente e responsabile», ripete Liu Mingzhu, della Commissiona Nazionale della Sanità.
Ieri la Cina ha preferito annunciare che ormai Wuhan è «città pulita». Una campagna a tappeto di test (più di dieci milioni) ha rivelato secondo le autorità zero malati e trecento casi positivi ma asintomatici. Secondo le decine di registrazione, mail e documenti interni tirati fuori dai cassetti dell'Oms dalla AP, lo stretto controllo esercitato dalle autorità sanitarie cinesi e anche la concorrenza interna in seno ai laboratori di ricerca hanno colpevolmente ritardato l'invio al mondo del segnale di allarme sulla nuova epidemia. Se pubblicamente lodavano la Cina per il suo spirito di collaborazione, in privato i funzionari dell'Oms, già nella prima settimana di gennaio, denunciavano la scarsezza di dati per valutare la letalità e la contagiosità del nuovo virus. «Sappiamo troppo poco, non ci basta per pianificare» si sente dire il 6 gennaio a Maria Van Kerkhove, oggi responsabile tecnica per l'Oms per Covid-19. «Ci ritroviamo ad avere i dati un quarto d'ora prima che siano annunciati al telegiornale cinese» commenta, sempre a inizio gennaio, Gauden Galea, il più alto funzionario Oms in Cina.
Intorno al 10 gennaio è Michael Ryan, capo delle emergenze sanitarie dell'Oms, ad accusare la Cina di non collaborare come fanno gli altri paesi» e di precisare che «il Congo» aveva per fortuna cooperato molto di più di fronte all'epidemia Ebola. Dai dati emerge che la Cina ha ritardato nel comunicare la sequenza del genoma del nuovo coronavirus, isolata già il 27 dicembre dal laboratorio privato Vision Medicals. Seguono le conferme di altri tre laboratori ma il 3 gennaio le autorità ordinano a tutti di distruggere i campioni. Ufficialmente per «garantire la sicurezza dei laboratori». Gli scienziati sanno già che il virus si trasmette da uomo a uomo e quale proteina usa per duplicarsi, ma ufficialmente il virus è ancora «misterioso». Se un documento interno all'Oms indica che «dovrebbe essere contagioso attraverso le vie respiratorie», ufficialmente l'Organizzazione sostiene che non ci sono prove di «trasmissione significativa inter-umana» e non raccomanda misure specifiche per i viaggiatori. Soltanto dopo un articolo pubblicato dal Wall Street Journal la Cina annuncia la scoperta di un nuovo coronavirus, ma divulgherà il genoma solo il 12 gennaio, quando si contano già i primi morti e il virus viaggia già dovunque. E soltanto il 20 gennaio si ammette ufficialmente il contagio per via respiratoria. In quel momento, l'Oms non ha però ancora nessuna notizia sugli «alberi di trasmissione» e continua a parlare di «bassa contagiosità». Altri dieci giorni passeranno prima di far scattare l'emergenza sanitaria. Quattro mesi dopo, il mondo conta sei milioni e mezzo di casi e 380mila morti.
Francesca Pierantozzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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