LA GIORNATA
ROMA Matteo Renzi tiene il punto e, anzi, rilancia. Ribadendo che

Giovedì 19 Ottobre 2017
LA GIORNATA
ROMA Matteo Renzi tiene il punto e, anzi, rilancia. Ribadendo che per il Pd «il problema non è il nome del governatore di Bankitalia» ma la necessità, dopo quanto accaduto nel sistema bancario, di «fare un'analisi vera». «Non ho mai sentito dire nella storia italiana che una mozione parlamentare sia una mossa eversiva», contrattacca il segretario, all'indomani del documento parlamentare dem che ha stigmatizzato l'operato di Ignazio Visco. «Trovo surreale che chi ha il compito di spiegare con le parole i fatti che accadono arrivi a dire così. Quella mozione, presentata dal Pd, è stata poi corretta e approvata dal governo. Non s'è mai visto un atto eversivo approvato da un governo». I dem però si dividono. E soprattutto i padri nobili prendono le distanze schierandosi con il Quirinale.
Walter Veltroni, reduce dall'abbraccio alla festa per il decennale dem, ha aperto di buon mattino la sarabanda di dichiarazioni, parlando di mozione «incomprendibile e ingiustificabile». Poi, una slavina. Il presidente emerito Giorgio Napolitano, il capogruppo al Senato, Luigi Zanda, e poi Andrea Orlando e gli orlandiani, tutti a dire che quella mozione no, non doveva essere neanche presentata, non spetta ai partiti e al Parlamento mettere voce in quella nomina, e comunque «il Pd non ha mai messo in discussione l'autonomia della Banca d'Italia». Mentre, mano a mano che la vicenda si va dipanando, c'è chi giura che il premier Paolo Gentilon non ne era stato informato in alcun modo. Solo gli uomini e le donne più vicine al leader erano a conoscenza.
RESPONSABILITÀ
E del resto è stato lo stesso Renzi a tornare sul tema e a rivendicare il tutto: «Doveva rimanere agli atti che il Pd non si assume alcuna responsabilità per la nomina di Visco», ha detto, per poi aggiungere ancora più chiaramente: «In questi anni nel settore banche è successo di tutto, è mancata una vigilanza efficace», per cui adesso «c'è bisogno di scrivere una pagina nuova».
Parole che stridono con quelle ad esempio di Napolitano che, raccontano, si è sentito con Veltroni: «Non devo occuparmi delle troppe cose che ogni giorno capitano e che sono deplorevoli». O con quelle di Zanda, il capo dei senatori dem: «Mozioni di quel tipo, meno se ne fanno e meglio è. Quando si tratta di questioni che riguardano il risparmio dei cittadini e la stabilità del sistema bancario, bisogna sempre usare il massimo della prudenza possibile». «Non commento per carità di patria», le parole di Calenda. Duro anche il giudizio dell'orlandiano Andrea Martella, già veltroniano, che come vice capogruppo si è dato un gran da fare per scongiurare la presentazione della mozione o per renderla meno dirompente possibile: «Un'azione sconsiderata, di cui probabilmente non si sono resi conto circa gli effetti». I critici interni hanno chiesto la convocazione dell'assemblea del gruppo del Pd alla Camera, ma il capogruppo Rosato ha già fatto sapere di non pensarci minimamente, «non chiediamo la testa di nessuno, ma non potevamo far finta che tutto andasse bene», precisa Rosato che è franceschiniano come Zanda. Nel Pd si è aperto un fronte interno molto polemico, che getta una luce diversa sulla situazione al Nazareno, dove è come se a Renzi stesse mancando sotto i piedi la sua stessa maggioranza. Solo Matteo Orfini, il presidente del partito, si è schierato con Renzi: «Il governatore di Bankitalia non è infallibile, l'infallibilità i cattolici la ripongono soltanto nel Papa, e non c'è stato alcuno scontro con il governo».
Nel Pd tornano a rullare tamburi di guerra. Chi già prima lavorava spingeva operava perché Renzi non fosse più il candidato premier, trova adesso più argomenti. «Renzi ora è più debole», raccontano gli anti, «è deligittimato agli occhi della Bce, del Colle, di Bankitalia, dentro il Pd, ci vorrebbe qualcuno che si alzasse e dicesse basta. Già, ma chi?».
Nino Bertoloni Meli
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