Il prof della Regione replica ai rilievi dei tecnici di governo

Martedì 23 Luglio 2019
IL CONSULENTE
VENEZIA Ma è vero che il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha smontato il progetto di autonomia delle Regioni? No, secondo il professor Andrea Giovanardi, docente di diritto tributario all'Università di Trento e componente della delegazione trattante del Veneto. Quattro i punti della sua contro-analisi.
LA MEDIA
Il primo riguarda il rilievo mosso dagli uffici ministeriali alla norma finanziaria, quello riguardante la clausola della spesa media nazionale pro capite. «Nell'ipotesi contenuta nella proposta delle Regioni spiega al riguardo Giovanardi dovrebbe trovare applicazione, in sostituzione della spesa storica, dopo tre anni dal varo della riforma nel caso in cui non si addivenga alla determinazione dei fabbisogni standard». Il consulente assicura che «non ha subìto alcun tipo di critica dai tecnici del Dipartimento» la struttura della disposizione, basata «sull'utilizzo delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio al fine di coprire la spesa (storica) relativa alle competenze oggetto di trasferimento». La seconda puntualizzazione concerne gli effetti di questo meccanismo intermedio: «Non corrisponde al vero che l'eventuale trasferimento di risorse connesso all'applicazione della spesa media risulterebbe ingiustificato, dato che vale proprio il contrario, nel senso che è ingiustificato che la spesa storica nelle materie trasferite sia più bassa nelle tre regioni richiedenti rispetto a tutte le altre regioni italiane. Il criterio della spesa media costituisce una sorta di pungolo per indurre il Governo a varare i fabbisogni standard, in un contesto in cui il criterio della spesa storica, universalmente riconosciuto iniquo, deve essere superato a tutti i livelli dell'ordinamento in forza di quanto previsto dalle legge 42 del 2009». Giovanardi si dice stupito che qualcuno dia «per scontato che si debba continuare a tollerare che, per fornire gli stessi servizi, vi sia chi spende di più in altre parti del Paese».
LE REGOLE
Il terzo aspetto attiene alle modalità del negoziato: «Non corrisponde al vero che si vogliono riscrivere le regole partendo dalle richieste delle tre Regioni, senza coinvolgere le altre: questa è una strada obbligata imposta dall'articolo 116 della Costituzione, il quale prevede che sia la singola Regione a chiedere allo Stato ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle materie individuate dalla stessa norma costituzionale». La quarta considerazione concerne la scuola, a proposito dei numeri circolati in questi giorni: «Si scrive che l'ufficio parlamentare di Bilancio ha rilevato che se la spesa venisse regionalizzata, la Lombardia riceverebbe 4,6 miliardi di euro l'anno, il Veneto 2,3 l'Emilia 2,1. Tutto vero: si tratta della spesa che attualmente lo Stato spende per la gestione dell'istruzione nei tre territori, abitati da circa 19 milioni di persone. Sfugge come possa essere considerato un ottimo affare il riconoscimento alle Regioni, a fronte del trasferimento di funzioni e competenze in materia di istruzione, della stessa spesa che lo Stato sta già oggi sostenendo a fronte delle funzioni trasferite. Non un regalo o un ingiustificato trasferimento, quindi, ma il minimo che deve essere riconosciuto per poter continuare a fornire il servizio ai propri cittadini». L'annotazione finale è per le cifre complessive dell'operazione: «La spesa che verrebbe trasferita alle tre Regioni è pari a circa 9 miliardi di euro, a fronte di 19 milioni di abitanti circa. I restanti 27,5 miliardi restano alle altre Regioni, in cui abitano 41 milioni circa di persone. Il che significa che all'incirca, a fronte di una popolazione pari ad un terzo di quella italiana, le tre regioni ricevono un quarto della spesa. Ma allora, dove sta l'ingiustizia, dove abitano gli studenti di serie A e dove gli studenti di serie B?». (a.pe.)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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