IL CASO
VENEZIA Si è conclusa con una transazione la causa civile avviata

Giovedì 18 Ottobre 2018
IL CASO
VENEZIA Si è conclusa con una transazione la causa civile avviata nel 2014 dalla società Mantovani di Padova nei confronti del suo ex manager, Piergiorgio Baita, con una richiesta di risarcimento danni record, pari a 37 milioni di euro per il coinvolgimento nello scandalo Mose.
In tutto silenzio le due parti hanno messo la parola fine al contenzioso grazie ad un accordo che prevede che Baita versi circa 600 mila euro, a rate, al colosso nazionale delle costruzioni: nel caso in cui non dovesse riuscire a pagare, la società potrà rivalersi sulla sua villa di Mogliano Veneto, in provincia di Treviso.
L'atto transattivo risale a qualche mese fa, ma la notizia è trapelata soltanto adesso. Nessuna delle parti, evidentemente, aveva interesse a far sapere che la lite si è conclusa in una bolla di sapone. Baita, a quanto pare, ha assicurato alla società di non aver altri beni da mettere a disposizione, dopo essersi difeso da un lato sostenendo di aver agito per il bene aziendale; dall'altro di avere ricoperto, oltre alla presidenza di Mantovani, tutta una serie di altri incarichi per società del gruppo, per le quali non era mai stato compensato.
FALSE FATTURE
L'accordo concluso dal suo legale, l'avvocato Ruggero Sonino, prevede anche la chiusura della causa avviata contro Baita da Adria Infrastrutture, la società che la Mantovani aveva costituito per partecipare ai bandi di project financing, al cui vertice era stata posta Claudia Minutillo, l'ex segretaria dell'allora Governatore del Veneto, Giancarlo Galan, cha ha chiesto a sua volta di patteggiare per chiudere i conti con l'inchiesta penale sul Mose.
La posizione di Baita è centrale nella gestione del sistema Mose, ed è stato lo stesso manager, dopo essere stato arrestato nel 2013 per una questione di false fatture milionarie, a raccontare alla Procura di Venezia come per anni il Consorzio Venezia Nuova gestito da Giovanni Mazzacurati avesse messo in piedi un meccanismo per accantonare fondi neri, attraverso false fatturazioni, per avere a disposizione il denaro necessario ad oliare amministratori pubblici e politici per ottenere i finanziamenti necessari a completare le paratoie a difesa di Venezia dall'acqua alta.
L'inchiesta penale ha portato a patteggiamenti e condanne, con la confisca di svariati milioni di euro. Anche la Corte dei conti si è attivata per chiedere ai pubblici ufficiali di restituire i soldi indebitamente percepiti e di risarcire il danno provocato all'immagine della pubblica amministrazione.
La Mantovani, all'epoca controllata dalla famiglia Chiarotto (da pochi mesi il ramo costruzioni del gruppo è diventato Cogemantovani, controllato dalla lombarda Coge costruzioni generali) reagì allo scandalo citando a giudizio Baita, indicandolo come il responsabile di un danno di circa 21 milioni per esborsi finanziari e tributari e di altri 16 per il danno all'immagine provocato alla società. La transazione siglata ammonta a meno di un sessantesimo di quanto inizialmente reclamato.
MINUTILLO HA PAGATO
Baita, nel frattempo, è riuscito a recuperare una parte dei 400 mila euro che è stato costretto a versare allo Stato per poter patteggiare, nel 2013, la pena di un anno e dieci mesi per l'accusa di frode fiscale in relazione ad un vorticoso giro di false fatture, realizzate tra il 2005 e il 2010, per un ammontare di circa 8 milioni di euro. Per quella frode patteggiarono anche Minutillo, l'imprenditore di San Marino, William Colombelli (accusato di aver messo in piedi una cartiera per produrre le false fatture) e il ragioniere padovano Nicola Buson, all'epoca direttore amministrativo della Mantovani. Baita pagò per tutti e poi ha avviato una causa civile per recuperare le quote: 100 mila euro a testa. Solo Claudia Minutillo finora ha pagato, a rate. Colombelli ha impugnato in appello la sentenza che lo ha condannato a versare i soldi a Baita.
Gianluca Amadori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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