Attentato a Rialto: espulso il kosovaro della cellula Jihadista

Mercoledì 18 Dicembre 2019
Attentato a Rialto: espulso il kosovaro della cellula Jihadista
IL CASO
VENEZIA Ieri mattina, scortato dagli agenti della Digos di Venezia e dai loro colleghi dell'Ufficio Immigrazione di Treviso, è salito su un aereo in partenza dal Marco Polo. In mano, un biglietto di sola andata per il Kosovo, dov'è nato. Il motivo? Prevenzione del terrorismo. Quel volo dallo scalo veneziano è stato l'ultimo capitolo della vicenda giudiziario del neo-diciottenne kosovaro, arrestato nel 2017 per aver sognato e teorizzato, assieme ad altri tre connazionali, un attentato a Venezia, sul ponte dei Rialto. «Con Venezia guadagni subito il Paradiso per quanti monafik (ipocriti, ndr) ci sono qua. Ad avere una bomba... a Rialto», diceva inneggiando agli attentati dell'Isis in Turchia.
Il neo-maggiorenne, difeso dall'avvocato Federica Atzeni, era stato condannato a 3 anni e 4 mesi per terrorismo: sentenza diventata definitiva nell'ottobre 2018 e che - sfruttando la liberazione anticipate (uno sconto di 45 giorni ogni 6 mesi di detenzione, in caso di buona condotta) - il giovane kosovaro ha finito di scontare lunedì scorso. Una volta pagato il debito con la giustizia, è diventato realtà il decreto di espulsione dall'Italia arrivato come corollario alla sentenza letta dai tribunali nei suoi confronti. La sua storia era tornata d'attualità a inizio estate, quando il tribunale di Sorveglianza di Cagliari aveva dato il proprio benestare alla concessione di una serie di permessi premio. Sette, in tutto i permessi ottenuti dal giovane, a conclusione di un percorso affrontato fianco a fianco con il proprio legale. Permessi che il giovane era stato in grado di raggiungere dimostrando come ci fosse stata da parte sua l'impossibilità di collaborare, dal momento che l'indagine era conclusa con il loro arresto e non restavano in piedi altri collegamenti con la criminalità organizzata. Grazie al via libera della Sorveglianza del tribunale sardo, al diciottenne si erano aperte le porte del carcere per sette ore, vissute fuori dal penitenziario di Cagliari assieme ad un operatore, per poi tornare a dormire in cella.
IL PROGETTO TERRORISTICO
In dodici secondi, il 30 marzo 2017, i reparti speciali di polizia e carabinieri avevano fatto irruzione in due appartamenti nel cuore pulsante del centro storico di Venezia. Due palazzi trasformati da quattro giovani kosovari diventati estremisti pronti al massacro in nome dell'Islam più radicale, in poli logistici nei quali pianificare un attentato terroristico a Venezia dall'eco mondiale. Tale, per stessa ammissione del diciottenne espulso, da garantire «subito il Paradiso».
In manette, oltre al diciottenne espulso ieri mattina (minorenne all'epoca), anche Arjan Babaj, 30 anni, considerato il capo e la mente dell'operazione jihadista; Fisnik Bekaj, 27 anni, Dake Haziraj, 28 anni. Tutti condannati in via definitiva e tutti, una volta scontata la pena, destinati alla stessa sorte toccata al più giovane, arrivato in Italia nel 2015, con un permesso di soggiorno avuto grazie all'affidamento ad uno zio. Era stato proprio il minorenne a venire intercettato mentre parlando con gli altri componenti del gruppo - già sotto inchiesta dalla Procura distrettuale antiterrorismo di Venezia - commentava gli attentati terroristici in Turchia. «Con Venezia guadagni subito il Paradiso per quanti monafik ci sono qua. Ad avere una bomba... a Rialto», aveva detto incitando gli altri aspiranti kamikaze.
Quella frase era stata l'accelerazione finale dell'inchiesta. Le forze dell'ordine si erano rese conto di trovarsi di fronte a quella che la sentenza aveva definito come una vera e propria cellula di matrice islamica che «aveva raggiunto una capacità organizzativa di tale complessità da creare un concreto pericolo per la collettività».
LE CONDANNE
Cinque anni sono stati inflitti all'ideologo del gruppo, Arjan Babaj, e 4 anni ciascuno a Dake Haziraj e Fisnik Bekaj, riconosciuti responsabili di partecipazione ad associazioni terroristiche. Come il giovane kosovaro jihaidista, uscito l'altro giorno dal carce di Treviso. Nella sentenza della Corte d'Appello di Venezia a carico dell'allora minorenne si legge che i quattro ragazzi erano «compartecipi di una vera e propria struttura organizzativa con finalità e metodi terroristici». L'obiettivo, uno solo: colpire l'Italia ancora vergine di attentati a sfondo religioso. E farlo a Venezia, città di eco mondiale. In uno dei posti più noti simbolo della città d'acqua. E del mondo.
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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