È mafia, e gli oltre 328 anni di condanne decise dal tribunale Collegiale di Verona sono lì a dimostrarlo.
Si è chiuso così il processo alle infiltrazioni della ndrangheta nel Veronese, che a luglio 2020 avevano portato a un blitz coordinato dalla procura Antimafia di Venezia, rappresentata in aula a Verona dal sostituto Andrea Petroni, che ha condotto le indagini con la collega Patrizia Ciccarese, ora in procura a Lecce.
L'inchiesta esplose all'alba del 4 luglio 2020 con l'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico di trentatré persone e al sequestro di beni e denaro per un equivalente di oltre tre milioni di euro, a carico di una presunta organizzazione criminale «con autonomia operativa, composta da membri dei ceppi familiari Gerace-Albanese-Napoli-Versace» si leggeva nell'ordinanza. Famiglie-clan tutte originarie della Piana di Gioia Tauro e appartenenti alla ndrangheta. «Un sodalizio organizzato sulla base di regole formali e dei livelli gerarchici e funzionali propri del "Crimine di Polsi"», la struttura di governo e decisionale al di sopra dei tre mandamenti in cui è stata suddivisa la Calabria: Jonico, Tirrenico e Città.
IL PRECEDENTE
L'inchiesta aveva sconquassato Verona a meno di un mese di distanza dalla raffica di arresti chiesto - e ottenuti - dall'Antimafia di Venezia per l'inchiesta "Isola Scaligera", condotta dai pm veneziani Lucia D'Alessandro e Stefano Buccini, e arrivata a sentenza nel marzo scorso. Anche il dispositivo di questa inchiesta ha stabilito come in provincia di Verona abbia operato un'organizzazione di stampo mafioso collegata alla 'ndrangheta calabrese. Secondo la Procura antimafia di Venezia il gruppo, costituiva un'articolazione del clan guidato dal boss Pasquale Arena, di Isola Capo Rizzuto. Un sodalizio pericoloso, con disponibilità di armi, che secondo gli inquirenti era in stretto contatto con la casa madre.