Dario, l'ex tenore della Fenice con la Sla: «Ora scrivo poesie per la vita»

Sabato 11 Giugno 2022 di Marta Gasparon
Dario Meneghetti, fino a pochi anni fa era tenore al coro della Fenice
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VENEZIA - Dove la voce non può più arrivare, oggi lo fanno gli occhi, l’unica parte di quel suo corpo immobilizzato, inerme che riesce ancora a muovere, tanto da affidarsi ad un puntatore oculare per poter comunicare con gli altri. Trovare un senso alla dura prova che il destino gli ha riservato non è cosa semplice, eppure Dario Meneghetti crede nella vita. Non ha mai smesso di farlo, nonostante la fatica si faccia sentire nel quotidiano, fatto di ventiquattro ore inchiodato a quel suo letto di casa che è oramai divenuto parte integrante di un’esistenza segnata dalla Sla (sclerosi laterale amiotrofica). Lui, classe 1970, è nato a San Donà – dove tuttora risiede con la madre, seguito giorno e notte da chi è incaricato di assisterlo – ma ha sempre vissuto nel sestiere di Cannaregio. Dapprima iscrittosi al Conservatorio, è stato tenore nel coro del Teatro La Fenice, dove ha continuato a cantare finché la malattia gliel’ha consentito. Ed anche oltre.

LA MALATTIA
«Ricordo che quando riusciva ancora a stare in piedi e poteva parlare ma non cantare – racconta Giovanna Zanini, amica d’infanzia della madre di Dario, che ha visto nascere e crescere, standogli accanto nelle avversità di questi anni – hanno fatto in modo che rimanesse nel gruppo: si posizionava in ultima fila, muovendo semplicemente la bocca a tempo». Un modo per cercare di restituirgli parte di quella normalità che via via gli stava scivolando dalle mani. Le stesse che una decina d’anni fa hanno smesso di funzionare correttamente. «Dario non riusciva più a stringere bene con le dita determinati oggetti. Quelli più piccoli gli cadevano», continua Giovanna, spiegando come la diagnosi abbia chiarito ogni dubbio. Per un periodo ha utilizzato la sedia a rotelle, riuscendo a muovere qualche passo, ma la Sla – si sa – ha provocato un lento degenerare delle sue condizioni. Da circa tre anni Dario non muove più un muscolo del corpo, intubato per essere supportato nella respirazione e alimentato tramite sondino collegato all’intestino. Eppure per lui ogni nuovo giorno che la vita ha deciso di concedergli, merita ancora di essere vissuto. Nonostante tutto. E la sua testimonianza fa riflettere, specie in questi giorni in cui c’è chi sta lottando per vedersi riconosciuto il diritto opposto: quello del suicidio medicalmente assistito. È il caso di Fabio Ridolfi, 46enne di Fermignano immobile da diciott’anni a causa di una tetraparesi, che ha deciso per la sedazione profonda. 

LA SCELTA DI VIVERE
«Davanti a situazioni come queste, qualunque tipo di decisione va rispettata – commenta Giovanna –. Ma Dario ha scelto di vivere. È vero, la sua voce se n’è andata, ma lui è passato dalla musica alla poesia». Sì, perché accanto a quegli amici che non hanno mai smesso di tendergli la mano, Dario ha trovato nei versi poetici che compone tramite puntatore oculare uno stimolo per andare avanti. Un motivo per tenere duro. Parole, quelle da lui espresse, pubblicate anche in alcuni libri (l’ultimo, “In un guscio di luna”, Fiorina edizioni) o condivise sul suo profilo Facebook, costantemente aggiornato, che sono il riflesso dei suoi pensieri più intimi. Anche di quelli legati ad una fatica a volte difficile da sopire. «Dario è un esempio. La sua storia può dare coraggio alla gente. Personalmente fingo che non sia malato, che stia bene. Non si riesce a credere che una cosa del genere sia possibile», aggiunge Giovanna con commozione, invitando le persone a sostenerlo con una donazione on line , dove in pochi giorni sono stati già raccolti circa 5mila euro), in quanto la sua pensione e l’accompagnatoria d’invalidità non sono più sufficienti a coprire le spese mediche e assistenziali.

Spese per far fronte alle quali Dario si è oltretutto dovuto indebitare. Un semplice aiuto, grande o piccolo che sia – scrivono gli amici – per alleviargli almeno questa preoccupazione. “Assetato di cielo bevo piante di nuvole/ – le parole tratte da alcuni versi –. Poi chiudo gli occhi. Invisibili increspature albeggiano/come montagne: oggi tocca a me. Il tempo/è una tavola piatta, un mare immobile. Io nuoto veloce/sulla tua schiena dorata in controluce (…)”.

Ultimo aggiornamento: 12 Giugno, 10:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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