PORTO MARGHERA - Il modello Venezia funziona e l'Eni lo sta esportando in tutto il mondo: è di ieri l'annuncio di un'intesa con Lg Chem, il principale produttore di prodotti chimici della Corea del Sud, per avviare la valutazione dello sviluppo e gestione di una nuova bioraffineria nel complesso chimico Daesan, 80 chilometri da Seul.
La riconversione della raffineria di Porto Marghera verso la produzione di biocarburanti, la prima al mondo, per il colosso energetico italiano è dunque un successo da replicare, come a Gela, Livorno, negli Usa.
TAGLIO EMISSIONI
«Il loro utilizzo già oggi permette di abbattere le emissioni dell'80% in media rispetto ai carburanti di origine fossile, e siamo solo all'inizio di un percorso di investimento che porterà la produzione di biocarburanti da 1,65 milioni di tonnellate attuali ai 3 previsti per il 2025, per arrivare a oltre 5 nel 2030 - dice Ricci -. E questo senza contare le possibilità che si aprono per l'alimentazione del trasporto marittimo». Già 500 stazioni di servizio Enilive li stanno utilizzando in Italia, un numero destinato ad allargarsi come l'offerta dei nuovi punti di rifornimento e di ristoro gourmet Alt con lo chef Romito. «La prima l'abbiamo appena inaugurata a Roma ma contiamo di arrivare entro tre anni a quota 100 in tutta Italia», annuncia Ballista. Le nuove stazioni Enilive saranno posti di riferimento per tutti i tipi di mobilità, dall'elettrico al car sharing, all'idrogeno - proprio a Porto Marghera è partita la prima stazione di rifornimento per questo tipo di carburante. Ma ci saranno anche altri servizi. Ballista delinea anche un obiettivo di redditività: «Contiamo che 1,5 miliardi dell'ebitda di Eni Sustainable arrivino dalle stazioni e dalla bioraffinazione entro il 2026». Il tutto con la sostenibilità della materia prima: i semi di ricino (pianta adatta ai terreni aridi), gli scarti del cotone e di altre piante coltivate in Africa ma anche in Italia e in Asia. Eni sta sviluppando una rete di agri-hub in Kenya, Congo, Angola, Mozambico, Costa d'Avorio, Ruanda, e avviato studi di fattibilità in Italia e Kazakistan. L'obiettivo è arrivare a produrre 700mila tonnellate di olio vegetale al 2026 attraverso la coltivazione in terreni agricoli marginali o abbandonati.