«Mi sono svegliato e non respiravo più», pensavano fosse Covid e questo gli ha salvato la vita

Lunedì 23 Novembre 2020 di Luca Bagnoli
«Mi sono svegliato e non respiravo più», pensavano fosse Covid e questo gli ha salvato la vita
1

VENEZIA «Sono vivo grazie al Covid». Era il tempo della prima ondata epidemica quando don Giovanni Favaretto, 70 anni, cappellano della chiesa San Giacomo di Rialto, si recava ansando all'ospedale Civile. «Quella mattina mi sono svegliato e non respiravo più - ricorda - così ho chiesto aiuto, e il medico mi ha suggerito di fare immediatamente un tampone. Al Civile una cardiologa mi ha detto deve fermarsi qui, al che ho risposto ok, vado a prendere il pigiama, e questa ha ribattuto decisa no, lei non si muove, sta facendo un infarto.

Poco dopo ero già in Terapia intensiva coronarica, agitatissimo, e un infermiere per sdrammatizzare senza riuscirci troppo mi ha detto tranquillo, stai per morire». 


SOLLIEVO

Alla fine l'intervento salvifico riesce perfettamente, e il sacerdote della più antica chiesa di Venezia può tirare un flebile sospiro di sollievo. «Adesso però sono molto fragile a livello fisico e anche psicologico - precisa - mi commuovo di continuo, non posso più celebrare funerali e neppure visitare i malati, perché no se pol miga andar casa della gente piangendo. E poi i bambini - aggiunge - i bambini per strada con la mascherina mi commuovono terribilmente... molto meno, invece, una signora sudamericana che, quando in chiesa le ho chiesto gentilmente di mettersela una protezione, è andata in escandescenza; ora - riflette - è vero che oggi come oggi in chiesa non viene nessuno, sono vuote, altro che assembramenti, ma non è un buon motivo per andare su tutte le furie, soprattutto davanti ad uno che lacrima ogni due minuti». Tuttavia, questa sorta di gigantismo emotivo sembra aver favorito la condivisione delle reciproche difficoltà in un periodo di crisi diffusa. «Quando sono uscito dall'ospedale - racconta - ho incontrato il medico che mi aveva seguito, il quale si è tanto emozionato rivelandomi i suoi problemi: è stato proprio bello, abbiano messo in comune la nostra commozione, e io ho avuto la possibilità di assistere lui dopo che lui aveva accudito me». 
Poi don Giovanni muove la mano sotto la tunica: «Varda cossa go in scarsea», dice introducendo l'aneddoto successivo. E tira fuori una scatoletta celeste. «Sono oggetti d'oro - spiega - che un uomo mi ha chiesto di custodire per paura che glieli rubino, perché lui sta dormendo in macchina a causa del Covid, e per campare sta vendendo tutto quello che ha. Poi c'è un altro signore a Rialto che si commuove sempre - conclude - e quando ci troviamo è un vero disastro, piangiamo a dirotto, così l'ultima volta, scherzando, gli ho detto meglio non vedersi più tu ed io, che faxemo acqua alta». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci