Pavlo Makov, esponente ucraino alla Biennale: «Non sono un artista, sono una nazione»

Mercoledì 20 Aprile 2022 di P.N.D.
Pavlo Makov, artista ucraino alla Biennale di Venezia

VENEZIA - Il padiglione dell'Ucraina è una battaglia vinta. Una scommessa partita da Kharkiv, transitata per Kiev, giunta a Vienna e poi finalmente in Italia. Attorno all'opera The fountain of Exhaustion-Acqua alta l'artista Pavlo Makov prima un po' impaurito, poi felice di tanto interessamento, racconta in un buon italiano, la sua opera che si presenta al pubblico al primo piano dell'edificio delle Sale d'Armi all'Arsenale.
È l'esempio concreto della sensibilità offerta dalla Biennale ad un Stato in guerra e che, a costo di ogni sacrificio, ha deciso di essere presente nel consesso delle nazioni che popolano i padiglioni della Biennale d'arte. Insomma, c'è più di una testimonianza, peraltro ripagata dalla solidarietà di una fondazione e da una città.
«Siamo molto contenti di essere qui. E questo è per noi un motivo di grande orgoglio. E lo dico non come artista, ma come cittadino ucraino che è qui a rappresentare il suo Paese. E di questo ne vado molto fiero».
Pavlo Makov si avvicina alla sua opere.

Un gioco comunicante di imbuti dai quali scorre dell'acqua scrosciante. «È un omaggio a Venezia. Una città che sta facendo molto per noi».

Come siete stati accolti?
«Benissimo - racconta l'artista - Avevamo predisposto tutto prima della guerra, ma il conflitto ha cambiato tutti i piani. La nostra opera era pronta per arrivare a Venezia, non è stato facile. Solo grazie ai curatori e al loro coraggio siamo riusciti, in qualche modo, a trasferirla. Molti degli oggetti li abbiamo ricomposti qui».

Chi vi ha dato una mano?
«L'organizzazione della Biennale è stata fantastica. Ci hanno aiutato in tutto. Abbiamo avuto moltissimi aiuti. Ed è stato possibile rimettere in piedi tutto il progetto».

Un progetto che si è sviluppato con la solidarietà
«Senz'altro. E questo lo stiamo vedendo dal grande interesse che c'è verso il nostro Paese. Io non sono un artista ucraino, io sono contento di rappresentare l'Ucraina che è il mio Paese».
L'arte è forma di dialogo e di rapporto tra le genti, tra le nazionali. L'Ucraina c'è, la Russia invece si è ritirata.
«Il dialogo certo è importante, ma in questo momento quale è il dialogo della Russia? Io vedo carrarmati e missili. Difficile essere amici così...».
Attorno a Makov si aggirano giornalisti e fotoperatori. Nel dramma, il padiglione ucraino è senz'altro tra quelli più visitati. L'acqua dalle fontana continua a sgorgare e Makov si gira verso di essa come a indicare con soddisfazione che lui, il suo Paese, è qui. Nonostante tutti, nonostante i lutti, nonostante tutte le difficoltà.

Difficile il dialogo, ma la cultura almeno dovrebbe trovare una forma di comunicazione.
«Per il momento è difficile - aggiunge l'artista ucraino - forme di contatto. Ma è lo è sempre stato storicamente in tempi recenti. La storia della Russia è sempre una storia di potere. E così rimane. Lo è stata nella letteratura, nella storia. Noi dobbiamo continuare a difenderci. E se siamo qui continuamo a farlo».
Intanto in una altra parte dell'area della Biennale, si va allestendo Piazza Ucraina, un luogo nel cuore dei Giardini di Castell, accanto al Padiglione centrale e a quello degli Stati Uniti, dove un totem di sacchi bianchi troneggia in mezzo ad un'aiuola. Qui, tutti a partire dal primo giorno di apertura ufficiale al pubblico - sabato prossimo - sarà possibile esprimere il proprio pensiero (a favore e anche contro l'Ucraina). Sarà una specie di speaker's corner. Ognuno potrà dire ciò che pensa. Provocazioni comprese. Nel bene e nel male. E allo stesso tempo mettersi in discussione.

 

Ultimo aggiornamento: 17:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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