Ambrogio Da Re, il bambino di Cavanella salvato 40 anni fa dai lettori del Gazzettino: ecco come sta oggi

Martedì 15 Marzo 2022 di Vittorio Pierobon
Ambrogio Da re con i ritagli del Gazzettino dell'epoca
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CHIOGGIA - I suoi grandi occhioni, che sprizzavano gioia di vivere, incastonati in un volto giallognolo, sono rimasti nel ricordo dei lettori del Gazzettino. Ambrogio Da Re è un po' il figlio che tutti idealmente all'epoca hanno adottato, trepidando per la sua vita appesa a un filo. Pagine di cronaca ingiallite, ma scolpite nella memoria di chi le ha vissute attraverso il nostro giornale.  Ambrogio è vivo - e sta benissimo - grazie alla generosità dei veneti e dei friulani che nel 1984 hanno raccolto l'enorme cifra di 500 milioni di lire per consentire il trapianto di fegato.

Una favola a lieto fine. Un grande orgoglio per il Gazzettino, che si è fatto promotore di una gigantesca colletta per dare una speranza a quel bambino che aveva ancora pochi mesi di vita. Era affetto dalla nascita da atresia delle vie biliari, una malattia rara che porta alla distruzione del fegato e alla morte.


NUOVA VITA

Oggi, a distanza di quasi quarant'anni, Ambrogio sta benissimo. È un uomo sano, robusto, carico di ottimismo. Lavora come autista all'Actv, non vive più a Cavanella, la frazione di Chioggia divenuta famosa proprio grazie alla sua storia, ma ha attraversato il ponte sull'Adige e si è trasferito a Rosolina in provincia di Rovigo. «Io ricordo pochissimo di quel periodo, ma so tutto attraverso il racconto dei miei genitori e la lettura dei giornali che parlavano di me». Mentre parla sfoglia ritagli di quotidiani - non solo Il Gazzettino, ma tutta la stampa italiana ne ha scritto - mostra le foto: l'incontro con Papa Wojtyla, l'abbraccio con Maria Pia Fanfani, presidente della Croce Rossa, le passerelle in Tv al Maurizio Costanzo show, da Pippo Baudo. «Ma se sono vivo - dice con grande trasporto - lo devo soprattutto ai miei genitori, papà Giorgio e mamma Daniela che hanno lottato come leoni per salvarmi. Lo dico, e mi commuovo, sono stati eroici». Non esagera. Bisogna contestualizzare la storia.


LA VICENDA

Ambrogio è nato nel 1978, a Cavanella, paesino di poche centinaia di abitanti. Papà falegname, mamma casalinga. Scoprono di avere un figlio affetto da una malattia quasi incurabile, ma non si abbattono. Tentano tutte le strade, una Via Crucis di ospedali, sostanzialmente sempre con la stessa risposta: non c'è speranza. L'ultima stazione al Bambin Gesù di Roma per tentare un intervento che avrebbe solo allontanato di poco la fine. «Mamma ha sentito una signora, madre di un altro ricoverato, che parlava di una nuova tecnica che stavano sperimentando in America: il trapianto di fegato. Ha deciso che voleva tentare quella strada, anche se non sapeva assolutamente come fare per trovare i soldi. Comunque ha bloccato l'intervento previsto a Roma e mi ha riportato a casa».  E qui entra in scena Il Gazzettino.
A Cavanella tutti parlavano di quel bambino condannato a morire e della mamma che voleva portarlo in America per operarlo. Lo viene a sapere anche Giorgio Boscolo, il corrispondente da Chioggia, che informa Mario Rapisardi, il capo della redazione di Mestre, giornalista esperto, di grandissima umanità, che coglie la drammaticità della notizia e ne parla immediatamente con il direttore. Giorgio Lago, da pochi mesi alla guida del giornale, decide di fare tutte le verifiche e, una volta accertata l'autenticità e gravità del caso, Il Gazzettino adotta quel bambino. Vengono presi contatti con l'ospedale di Pittsburgh, negli Stati Uniti, dove il professor Tom Starzl, dopo anni di sperimentazione sulle scimmie, aveva iniziato a trapiantare il fegato sull'uomo. Ero un percorso denso di incognite, perché per Ambrogio restavano pochi mesi e non sarebbe stato facile trovare un donatore. Che, detto brutalmente, significa: la morte di un altro bambino e la decisione dei suoi genitori di donare gli organi. E soprattutto trovare i soldi per pagare l'intervento, il viaggio, il soggiorno per mesi negli Stati Uniti.


LA MOBILITAZIONE

Lago non ha dubbi: questo bambino lo salviamo. Chiede aiuto ai lettori del Gazzettino, servono 500 milioni, una cifra enorme. La gara di solidarietà è commovente. Si fanno avanti banche, imprenditori, la Regione Veneto, ma soprattutto la gente, moltissimi sono anonimi. Bambini che rompono il salvadanaio, scolaresche che donano i soldi delle merendine, mamme che pregano e versano i loro risparmi, pensionati. Anche i detenuti. Alla fine verranno raccolti oltre 700 milioni. La parte in eccesso è stata utilizzata per aiutare altri bambini malati. Il viaggio della speranza comincia nell'ottobre del 1984. Ambrogio, con papà Giorgio e mamma Daniela, partono per l'America. Il Gazzettino manda al seguito Roberto Ottomaniello, cronista attento, che giornalmente informa i lettori. Gli esami, i preparativi, l'attesa. Poi finalmente - purtroppo, per i genitori di un altro bambino investito da una macchina - la buona notizia: c'è un fegato. Si fa il trapianto. «Il mio unico ricordo - racconta Ambrogio - è del momento in cui mi hanno portato in sala operatoria. Papà mi ha accompagnato fino all'ingresso, tratteneva le lacrime. Io l'ho abbracciato e gli ho detto: perché hai fatto il falegname, se facevi il medico mi operativi tu». 


L'OPERAZIONE

Tutto è andato benissimo, operazione perfettamente riuscita. Ma il soggiorno a Pittsburgh è durato fino a marzo, per i controlli. «Abitavamo in un appartamento che ci ha messo a disposizione la Croce Rossa. La signora Maria Pia Fanfani ci è stata vicinissima e quando siamo tornati in Italia, mi ha voluto portare dal marito Amintore, uno dei politici più importanti dell'epoca. Ricordo che il senatore, che amava dipingere, mi ha regalato un ritratto». Ambrogio è stato il primo bambino italiano a sottoporsi a trapianto di fegato. «Sono stato fortunato perché era stata appena scoperta la ciclosporina, il farmaco che previene il rigetto. Ho avuto una vita normalissima, come gli altri bambini. Ho studiato e ho preso anche il pezzo di carta, il diploma magistrale, come voleva papà. Certo nei primi tempi ero più fragile, non dovevo ammalarmi, le mie difese immunitarie erano più basse. Ricordo che quando siamo stati ricevuti dal Papa, mio padre mi ha raccomandato di non baciargli l'anello. Lo fanno tutti e poteva essere fonte di infezione».


IL RACCONTO 

Ambrogio ha accettato, dopo tanti anni, di raccontare la sua storia, per un motivo preciso: vuole testimoniare la sua gratitudine verso i genitori. Papà Giorgio se ne è andato da qualche anno, mamma Daniela vive ancora a Cavanella. «Io voglio che mio figlio Nicolò, che oggi ha sette anni, sappia che nonni ha. Ma vi rendete conto che quarant'anni fa sono riusciti da Cavanella a portarmi a Pittsburgh. Non sapevano una parola d'inglese. Papà aveva un vocabolario tascabile e cercava le parole per parlare con i medici». È una pagina da libro Cuore degli anni Duemila. Ambrogio guarda le foto dei genitori e fatica a trattenere le lacrime. Poi mi chiede un altro ringraziamento: «Scriva che ringrazio tutti i lettori del Gazzettino che mi hanno aiutato. Ancora oggi capita che qualcuno quando sente il mio nome mi dica: ma lo sai che anch'io ho partecipato alla colletta. E l'ultimo grazie lo vorrei rivolgere agli sconosciuti genitori di quel bambino che mi ha donato il fegato. Non so come si chiamasse, ma penso sia il mio angelo custode».

 

Ultimo aggiornamento: 16 Marzo, 10:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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