Il manager friulano Paolo Bordon dirige la sanità trentina: «Ecco la nostra strategia sui test sierologici»

Martedì 5 Maggio 2020
Paolo Bordon

«Nessuno di noi avrebbe mai immaginato di vivere un incubo di questa portata. E' stato uno sforzo organizzativo incredibile, ma in momenti come questi di grandissima emergenza si riscopre uno spirito di coesione fortissimo».
Il friulano Paolo Bordon, 57 anni e da quattro anni alla guida dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento dopo aver lavorato nel sistema sanitario del Fvg, racconta così l'esperienza vissuta in prima linea in queste settimane in cui il Covid-19 ha colpito pesantemente il Trentino come molte altre zone del nord Italia.

Com'è stato operare nel momento di massima emergenza?
«È stato molto impegnativo; nel giro di 10 giorni ci siamo trovati a cambiare radicalmente la nostra azienda sanitaria che ha 7 ospedali - Trento e Rovereto i principali - con mission diverse. Prima avevamo 32 posti di rianimazione, sufficienti per i bisogni di una popolazione con 540mila abitanti, simile alla provincia di Udine. Ci siamo trovati ad ampliare la capacità a 105 posti letto. Questo ci ha salvati. Intorno al 20 marzo avevamo 84 persone in rianimazione e 470 ricoverati. Abbiamo dovuto trasformare le sale operatorie di tutti gli ospedali in posti di rianimazione. È come se il Friuli Venezia Giulia avesse avuto bisogno di 200 letti. E' stata una fase molto dura».

Umanamente cosa lascia un'esperienza come questa?
«Si riscoprono valori umani e sociali importanti. C'è stata grandissima solidarietà da parte della gente. Abbiamo ricevuto tantissime donazioni e tutti gli operatori sanitari si sono messi a disposizione e hanno lavorato volontariamente nei reparti Covid. Nessuna organizzazione avrebbe retto solo con gli specialisti. Nel giro di un mese abbiamo anche sviluppato prodotti informatici di sanità digitale che ci hanno consentito di gestire a distanza visite di controllo in telemedicina, anche oftalmiche. Mi auguro che strumenti di questo tipo non vengano abbandonati dopo l'emergenza. Chiaramente non sono sostitutivi delle visite ma in certe condizioni si possono affiancare».

Attualmente la situazione è in miglioramento?
«Sì. Le persone in rianimazione sono scese a 16. Abbiamo circa 5mila casi di positività in provincia ma stiamo facendo tantissimi tamponi mirati, con una media di oltre 1.500 al giorno. Dobbiamo stare molto vigili. I prossimi 15-20 giorni saranno cruciali. Ora abbiamo un indice di riproduzione della malattia R che si aggira intorno allo 0,4. E' importante tenerlo sotto l'1».

Siete stati tra i primi a far partire i test sierologici. Come funzionano?
«Da due settimane abbiamo avviato i test su tutto il personale dell'azienda, compresi i medici di medicina generale e pediatri di famiglia, per un totale di circa 8.500 persone. Da domani (oggi per chi legge, ndr) partiremo anche con un test su base volontaria sulla popolazione di cinque piccoli comuni di zone turistiche molto belle, come Canazei o Campitello di Fassa, che hanno avuto un indice di popolazione colpita più elevato di altri, con un valore R superiore a 2. Sono circa 7 mila persone - ci aspettiamo un'adesione intorno al 90% - cui viene prima somministrato un questionario di anamnesi per sapere se negli ultimi due mesi hanno avuto sintomi anche lievi. È un'indagine epidemiologica importante che svolgiamo insieme all'Istituto superiore di sanità per capire se il virus ha circolato, in che termini, la reazione negli organismi e se la popolazione ha sviluppato le immunoglobuline dei guariti, le cosiddette Igg».
Cosa pensa invece dell'emergenza in Friuli Venezia Giulia? «In rapporto alla popolazione ha avuto un terzo o anche meno dei casi rispetto a noi. È la regione del Nord che ha avuto meno casi in rapporto alla popolazione. La risposta è stata più che adeguata alla diffusione dell'epidemia. Penso che la posizione geografica, chiusa da due confini, e il lockdown siano stati la prima salvaguardia. Immagino anche che prima del blocco, la presenza turistica fosse prevalentemente locale o dell'Est Europa, mentre da noi c'era una fortissima presenza di lombardi. Penso che questo dato abbia avuto un'influenza sullo sviluppo dell'epidemia. Anche il comportamento della gente mi pare sia stato molto ligio al rispetto delle regole e questa è una grande garanzia perché non esiste nessun sistema sanitario al mondo che può preservare la popolazione se questa non collabora. Amo il Friuli, ho la mia famiglia qui. Sono molto felice che l'epidemia sia stata assolutamente marginale».

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Ultimo aggiornamento: 6 Maggio, 08:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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