Perseguitava compagna e figlio: «Ti faccio ammazzare». Condannato a 2 anni e 3 mesi

Mercoledì 17 Gennaio 2024 di Laura Bon
A giudizio un 33enne della Montebelluna bene

MONTEBELLUNA - Due anni e tre mesi di reclusione per stalking e maltrattamenti verso la compagna ma anche stalking nei confronti del proprio neonato. Con questa sentenza si è chiuso ieri in tribunale a Treviso il processo nei confronti di un 33enne di Montebelluna, assolto invece dall’accusa di maltrattamenti al pargolo. Una condanna comunque ridotta rispetto a quanto aveva suggerito, al termine della sua requisitoria, il pubblico ministero Mara De Donà, che nel corso del processo aveva chiesto per l’uomo, esponente della Montebelluna bene e piuttosto conosciuto in città, 4 anni di reclusione. Il 33enne, difeso dall’avvocato Fabio Crea, era infatti accusato di aver maltrattato la compagna e il figlio neonato, entrambi parti civili rappresentati dagli avvocati Fabio Capraro e Luciano Meneghetti.

UN ANNO INFERNALE

A quanto è emerso dalle testimonianze dell’accusa, la donna sarebbe stata perseguitata, dopo che, esasperata da una situazione invivibile, si era trasferita con il figlio dai genitori.

Il tutto si sarebbe verificato nel periodo compreso fra il dicembre del 2019 e il gennaio del 2021. Nel corso di questo anno abbondante l’uomo sarebbe stato protagonista di minacce di morte nei confronti della compagna, cui avrebbe espresso esplicitamente l’intenzione di mandare qualcuno ad ammazzarla. Ma le avrebbe indirizzato anche insulti e aggressioni fisiche, persino durante i mesi in cui la giovane donna era incinta. L’imputato, quando ancora i due erano una coppia, avrebbe persino vietato alla compagna di uscire per andare a trovare i genitori rivolgendo minacce che coinvolgevano anche il figlio appena nato. Nel gennaio 2020 poi la giovane donna, ormai disperata, si era trasferita con il neonato a casa dei genitori. Troppo il timore che potesse succedere qualcosa di grave a lei e al piccolo. A quel punto sarebbero iniziati gli atti persecutori rappresentati da appostamenti sotto casa, insulti e minacce sia nei confronti della ragazza sia dei genitori di lei che l’avevano ospitata. Tutte le dolorose tappe di quella che sarebbe dovuta essere una storia d’amore sono state ripercorse durante il processo dalla pubblica accusa e dai legali di parte civile.

INSULTI DI OGNI TIPO

Da brividi, in particolare, il riferimento a minacce “di stampo mafioso” dell’imputato. Che, in un crescendo rossiniano, sarebbe arrivato a costringere la compagna a correre nel tapis roulant per dimagrire, quando già era incinta di tre mesi. La donna è stata descritta come “succube” del compagno che avrebbe dimostrato disinteresse anche nei confronti del figlio. Secondo la difesa, però, i messaggi d’amore e d’affetto inviati dall’imputato alla donna non testimonierebbero una situazione del genere, smentendo timori per l’incolumità del bambino. E tali messaggi -sempre secondo la difesa- sarebbero stati scambiati proprio nel periodo in cui l’imputato avrebbe attuato gli atti persecutori nei confronti della compagna per i quali è finito a giudizio. Messaggi che, però, non sono bastati a evitare all’uomo la condanna. 

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