Aramburu: «Attenti alle favole
dei cattivi maestri: portano ai fanatismi»

Venerdì 30 Giugno 2023 di Chiara Pavan
Lo scrittore Fernando Aramburu

L'INTERVISTA

Le “favole” più pericolose, oggi come ieri, sono quelle che non ammettono repliche nè sfumature, e che inducono al fanatismo «e a quello che è successo tante volte nella storia dell’umanità: il diritto di danneggiare gli altri, di annientarli nel nome di una fede, di una causa, di un’utopia». Fernando Aramburu torna all’universo di “Patria”, suo grande successo di pubblico e di critica, premio Strega Europeo 2018 e anche serie tv (coproduzione spagnola e Hbo), e a quel 2011 in cui l’Eta annunciò la fine della lotta armata, per raccontare due ventenni allo sbando alle prese con gli ideali perduti: e “Figli della favola” (Guanda), nuovo lavoro del celebre scrittore basco da 30 anni trapiantato in Germania, inaugurerà il 4 luglio alle 19, al Chiostro dei Battuti di Conegliano, la rassegna “Una collina di libri”, in un dialogo dell’autore con il curatore Francesco Chiamulera.

L’Eta vista da parte di due ragazzi che sognano una vita diversa senza trovarla. Da dove è partito?

«Nel 2011 l’Eta ha fermato la sua attività armata.

Dopo aver ascoltato l’annuncio, mi sono chiesto se dentro l’organizzazione fossero rimasti dei dissidenti decisi a continuare gli attentati per conto proprio. Nessuno poteva rispondermi: così, immaginando una possibile risposta, ho ideato gli elementi di una storia che, nel corso del tempo, si è trasformata in “Figli della favola”».

Sembra quasi dire: mai credere alle favole.

«Abbiamo bisogno delle favole. Grazie alle favole cominciamo a comprendere il mondo e il comportamento umano. E ci servono anche per fissare i nostri primi principi morali. Le favole, in sè, non sono cattive. Le cattive sono quelle che inducono al fanatismo, che fanno credere, a chi ne è “posseduto”, di avere il diritto di danneggiare gli altri, proprio perchè la sua fede o la sua ideologia plasma e trionfa sulla realtà. Favole, insomma».

Come o quando accade che i ragazzi finiscano “sedotti” dalle favole?

«Un bambino è un libro di pagine bianche. Lo puoi trasformare in qualunque cosa. Io stesso, fino ai 5 anni, credevo fermamente che i Re Magi sarebbero arrivati a casa mia il 6 gennaio a portarmi regali. A un bambino puoi trasmettere tutto: una lingua, una religione, abitudini, l’amore per qualcosa, l’odio per qualcos’altro. I buoni padri e i buoni maestri trasmettono valori positivi».

Il viaggio dei due “figli della favola” è drammatico nel suo essere grottesco: il romanzo è molto ironico pur essendo molto duro e tagliente. Una scelta precisa?

«Non tutti la vedono così, mi piace questa sua lettura. Il mio romanzo racconta un dramma che parte da un “assurdo”, e chi lo comprende troverà le storie del libro meno umoristiche di quello che appare a prima vista».

La forza dello humour: delegittimare il potere, soprattutto quello tossico.

«E’ vero. Lo humour ha la capacità di trasformare il male, i totalitarismi o i tiranni in oggetto di burla. Questa gente, per ragioni facili da comprendere, preferisce suscitare paura e provocare la sottomissione, non la risata».

In “Patria” ha indicato con precisione vittime e aggressori: in “Figli della favola” i suoi protagonisti sembrano entrambe le cose.

«Dobbiamo usare con tatto la parola vittima. Lo stesso aggressore può convertirsi più tardi in vittima di altri aggressori. In “Figli della favola” i due protagonisti si preparano a mettere in pratica il terrorismo, che loro chiamano lotta armata. Si preparano, poi, a diventare aggressori organizzati e armati. Sono vittime? È possibile. Vittime di chi li ha convertiti a diventare terroristi, vittime di una ideologia criminale e anche vittime di se stessi».

Come battere le ideologie tanto più adesso che il mondo sembra ostaggio dei nazionalismi più estremi?

«Purtroppo non ho soluzioni. E’ come cercare di curare un malato che non vuole guarire. Dobbiamo continuare a difendere i valori umanistici e democratici, l’educazione e la cultura, e soprattutto - e questo dà sempre buoni risultati nelle relazioni umani - il rispetto».

Vie d’uscita possibili?

«Credo che la democrazia serva a questo, perchè le persone di diverse sensibilità politiche e diverse visioni della vita condividano uno spazio sociale comune, sempre a condizione di rispettare alcune leggi uguali per tutti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci