Il premio Duse a Monica Guerritore: «Ha aperto la strada alle donne»

Sabato 28 Agosto 2021 di Chiara Pavan
L'ATTRICE A Monica Guerritore il Premio Duse dell'Asolo Art Film Festival

Le donne devono molto a Eleonora Duse. Libera, pioniera e rivoluzionaria. «Ha mostrato la potenza creativa e produttiva del talento femminile. E deve servire come stimolo, come sprone per le donne del teatro». Monica Guerritore «ringrazia». La Duse, innanzitutto, «che per prima ha dato “respiro umano” alle donne narrate, aprendo la strada al teatro di regia». E anche l’Asolo Art Film Festival, che per il gran finale della kermesse, domenica 29 agosto alle 19 nel teatro dedicato alla Divina, celebra la carriera dell’attrice romana scoperta da Strehler e a lungo a fianco di Gabriele Lavia, interprete di grandissimi successi sul grande e piccolo schermo, ma soprattutto sul palcoscenico. 
Un riconoscimento vinto in passato anche da Ingrid Bergman: grazie alla sua somiglianza iniziò la sua carriera con Strehler.
«Già, i casi della vita, avevo 15 anni e le somigliavo tanto: mi capitò di accompagnare un’amica a Milano per fare un provino da Strehler, serviva una ragazzina che interpretasse la figlia della protagonista ne “Il giardino dei ciliegi”. E dire che mi cercò poi con un annuncio sul Corriere della Sera: doveva trovare una ragazzina di Roma che assomigliava alla Bergman, di cui non si sapeva il nome e che non aveva lasciato il numero di telefono». 
Bella storia. 
«Ma ancora più divertente è che all’epoca, con mio fratello, ero nel gruppo di Isabella e Robertino Rossellini. Io ero innamorata pazza di Robertino, ma lui no... (risata). E la gente, quando ci vedeva tutti insieme, diceva: “guarda i figli della Bergman”, mi scambiavano per una di loro, perchè assomigliavo moltissimo a Ingrid, anche più di Isabella. Avrei preferito essere la fidanzata di Robertino...».
Cos’è stato Strehler per lei?
«Il Maestro: colui che ha dato forma a qualcosa che era in nuce dentro di me. Ha visto il materiale che poteva essere formato, attraverso prove e duro lavoro, con lui e con gli altri attori. Grazie al suo metodo ha preso forma il mio talento. Perché il talento può esserci, ma se non c’è un maestro che ti aiuta ad esprimerlo, non puoi farcela».
Cosa ha imparato da lui?
«Tutto. È stato formativo. Io porto avanti il suo metodo. E non solo per non dimenticarlo, ma perché funziona. Il suo non è il teatro “performativo” che piace tanto oggi, tipo “proviamo a vedere se va, facciamo così...”. No, lui arrivava fino alla fine seguendo la sua visione, dava forma finita all’opera e se ne assumeva la responsabilità. Per quello mi piace molto il titolo del festival asolano, “Fai della tua vita un’opera d’arte”. È questo che ho imparato da lui».
Anche lei ora si misura con la regia.
«E seguo il suo metodo: una faticaccia, ma si fa così. Lavorando con i giovani, ma anche con attori formati, mi sono resa conto che molti non conoscono la scuola di Strehler. All’inizio la prendono come maniacalità, poi però ne vengono affascinati. Questo è il professionismo, senti che lavori bene e che ogni giorno aggiungi un pezzetto»
E questo è iniziato con la Duse.
«Esatto, lei è stata la prima a dare forma all’immagine interiore che aveva in mente: era pronta a combattere per la sua verità espressiva. Ha prodotto in proprio, autentica, autorevole e proprietaria completa della sua opera».
Difficile seguire questo esempio?
«Anche io ho fatto autoproduzione: non era facile, ma non avrei avuto la stessa libertà espressiva. Ora, grazie ai miei successi, posso pretendere la co-produzione. E faccio quello che mi sembra più consono alla mia visione. Ma la Duse è stata la prima. E ancora non abbiamo capito che la strada è quella per la donne».
Libertà espressiva.
«Esatto. Uscendo anche da coro, sia chiaro. A fronte di una carriera luminosa, io ho avuto due premi in vita, e solo di donne. Eleonora Duse adesso, e prima Valeria Moriconi. So cosa significa pretendere la propria libertà creativa».
 

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