VILLADOSE (ROVIGO) - Dolore che si aggiunge al dolore: oltre a quello, profondissimo, per la perdita del proprio caro, quello di non essere riusciti a vederlo un ultima volta, a causa del blocco delle visite per l'emergenza pandemica, mentre le sue condizioni si aggravavano in ospedale e nessuno spiegava perché. Così i familiari di Claudio Sarti, geometra di Villadose conosciuto anche a Ceregnano per la lunga carriera in Comune, spentosi a 69 anni, il 26 gennaio, mentre era ricoverato all'ospedale di Rovigo, hanno chiesto un incontro all'Ulss 5 per chiarire le circostanze del decesso. «Non per fare cause o denunce, perché niente e nessuno mi restituirà mio papà spiega Alessandra, una delle tre figlie di Sarti ma perché quello che è accaduto a noi non accada più, mai più».
TRE INCONTRI
Gli incontri di chiarimento sono stati ben tre. «Nel primo incontro spiega ci dicono che la causa della morte è stata un arresto cardiaco, noi crediamo derivi da uno choc settico.
DOPO NATALE
Era il 26 dicembre, ancora le visite erano aperte. «Quel giorno, mia mamma l'ha trovato a letto, che non rispondeva, sembrava poco lucido, e si lamentava del catetere. È stata lei ad avvertire i medici che qualcosa non andava. Il 30 dicembre, è stato spostato nell'Unità di terapia intensiva coronarica e ci viene detto che era gravissimo. Il giorno dopo vado in ospedale, per capire il perché dell'aggravamento, ma ottengo solo risposte vaghe. Nel frattempo, arriva un nuovo primario di Cardiologia e i medici cambiano di continuo. Il 5, dopo un periodo di ferie, rientra una dottoressa, con la quale non avevamo mai parlato, ma che conosceva la storia di mio papà per i suoi precedenti ricoveri: ci dice che l'aggravamento è stato causato da uno choc settico, un'infezione, e che i batteri erano in coltura da giorni per trovare la migliore cura antibiotica. Nessuno però fino a quel momento ci aveva detto nulla. Il 6, intanto, mio papà reagisce e si sveglia. Pensavamo che il peggio fosse passato, invece sarà l'ultima volta che lo vediamo».
NIENTE VISITE
In quel momento, infatti, infuria il Covid e vengono bloccate le visite. Questo, per i familiari di Sarti, è l'aspetto più delicato: «Passano due settimane nelle quali ci viene detto che sta meglio, ma arriviamo al 22 di gennaio e ancora nessuno l'ha potuto vedere. Mia mamma chiede di essere autorizzata, ma viene presa a male parole. Allora chiamiamo il primario, che acconsente a farla entrare. Le condizioni di papà, però, non sono affatto buone e il 25, lo trova morente, sporco di sangue, con il coprimaterasso scivolato via e la schiena sulla plastica, il campanello che lei gli aveva avvicinato, arrotolato in alto. Ed il bicchiere sul comodino, esattamente come l'aveva lasciato il giorno prima. Chiamiamo la dottoressa che ci aveva detto dell'infezione, ma è stata spostata in un altro reparto e non sa niente. Nessuno sembra sapere niente. Intanto, nostro padre peggiora, viene trasferito in terapia intensiva e la notte muore».