Associazioni e cittadini chiedono il recupero della chiesa di San Marco di Buso, dimenticata da decenni

Martedì 18 Ottobre 2022 di Andreina Milan
La chiesetta di San Marco si sta sgretolando

ROVIGO - La piccola, lineare frazione di Buso posta alla periferia orientale di Rovigo si trova immersa nella bellezza della campagna mediopolesana: il tortuoso paleoalveo dell’Adigetto, che qui prende il nome di via Domenico Angeli consente di procedere lungo un piano stradale pensile. Da qui lo sguardo si apre sullo spazio di campi ben coltivati, una prospettiva interrotta solo dal profilo del campanile di Sant’Apollinare. Per chi ama le passeggiate, il centro di Buso è una meta consueta, con la sola considerazione che, una volta oltrepassato il ponte, anche la sua piazza potrebbe essere comodamente collegata al centro città. Il “disegno segreto” dell’abitato è rivelato dalle foto aeree che ne delineano il lento svolgersi lungo il percorso fluviale negato di fatto dalla disposizione degli edifici rurali e civili che volgono le spalle all’Adigetto. L’apparente casualità dell’edilizia, i frequenti episodi d’abbandono di casali suggeriscono un mondo rurale in dismissione, nella decrescita demografica. Ciò malgrado non possiamo ignorare che le strade che percorriamo, anche solo con lo sguardo, conservano, nascosti, memorie plurisecolari. Siamo infatti ai margini del grande “agro centuriato di Adria-Villadose”, quella stessa lineazione di epoca romana che dalla città etrusca lambisce e talora penetra la stessa trama urbana del capoluogo.

LA RIFORMA POST-CONCILIARE

Lasciate queste considerazioni, l’ingresso nel centro storico del villaggio riserva un’amara sorpresa: una piazza deserta, dominata da un nobile campanile, e sullo sfondo la rovina di quella che sino a pochi decenni fa era la chiesa di San Marco. Da quasi sessant’anni il tempio, evocante le fortune della Serenissima, giace in un abbandono tanto assoluto quanto inspiegabile. I più ritengono, erroneamente, che la nuova sgraziata parrocchiale abbia sostituito la pieve per ragioni d’instabilità o pregiudizio alla pubblica sicurezza. In realtà, le ragioni dell’abbandono e dell’incuria datano dalla seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso, a seguito delle istruzioni del Concilio Vaticano II in materia di “adeguamento liturgico delle chiese”: si definisce così l’insieme delle modifiche strutturali apportate nelle chiese di rito romano, forzando la tradizionale disposizione dell’altare maggiore, con preferenza per la celebrazione “versus populum”. Gli interventi che ne seguirono (peraltro non obbligatori) produssero significativi, talora arbitrari effetti sulla materia architettonica, con rimozione di balaustre marmoree e l’aggiunta di nuove mense d’altare. La modernità avvolse (e sconvolse) le antiche aule con iniziative controverse: nel capoluogo, è il caso di San Francesco.

LE SVENTURE DI SAN MARCO

Per la storica parrocchiale di Buso tali suggerimenti decretavano la messa “fuori servizio” dell’armonioso complesso costituito dal tempio e dall’annessa canonica tosto abbattuta. La lunga prospettiva del piazzale, così simile allo “Stradon de la Madona” (odierna piazza XX Settembre) del capoluogo, riproponeva in forma minore ma non meno elegante, l’originale impianto centrale. Il volume ottagono – alla maniera barocca - fu ritenuto obsoleto a seguito della decisione di costruire la nuova parrocchiale. Nel progetto emerge con chiarezza l’intento di abbattere la chiesa antica per lasciare uno spazio vuoto semicircolare. Realizzata la nuova aula, quella vecchia, antistante la scuola elementare, forse per la percezione dell’errore compiuto, fu lasciata “in situ”. Il tempo e l’incuria agirono impietosamente: cadendo pezzo a pezzo, collassavano prima il tetto ed infine lo stesso involucro dell’edificio, segnato da lesioni impressionanti appena alleviate da presidi e cerchiature. Gli anni Ottanta e Novanta, pur densi d’interventi di restauro di pregio, trascuravano completamente San Marco, forse reputandolo alla stregua di un “malato” ridotto a cure compassionevoli. Nel 1992, dalle pagine del volume “Comunità e Chiese”, la sensibilità spirituale e artistica di mons. Alberino Gabrielli registrava la triste vicenda in forma sobria a margine d’un capitolo che stentava a chiudersi.

“IL GRIDO DI DOLORE”

L’istanza del recupero cominciava tuttavia ad essere raccolta da associazioni ed istituzioni. Nel 2004, per iniziativa di Angelo Gandolfi, ingegnere e docente presso l’Itg di Rovigo, fu redatto un rilievo dell’edificio unitamente a proposte per il recupero. Lo sforzo di documentazione, pur registrato dalla stampa locale non sortì effetti, né la reiterata volontà, da parte del Fai di inserirlo tra il “Luoghi del cuore” della provincia di Rovigo. Ancora, di questi giorni è l’appello di cittadini che richiedono ragione del perdurante “scandalo”: nei social riecheggia la sensazione di un’ingiuria urbana alla quale non si è voluto o saputo trovare rimedio e che vede protagonista un edificio che è testimone e memoria collettiva. Italia Nostra propone alla comunità e all’Amministrazione comunale un impegno concreto per l’avvio del recupero. Le questioni sul tavolo sono oggettivamente complesse, potendo apparire talora insormontabili, in ordine allo stato dell’edificio, ai costi prevedibilmente ingenti del consolidamento, alla proprietà ancora in carico alla parrocchia. Non si vogliono tacere i dubbi e gli ostacoli, ma è bene ricordare che ogni perdita di materia storica è atto irrevocabile. Il prestigio di una città non rassegnata al declino, che voglia riappropriarsi della propria storia e identità, è parte in causa: non è più tempo per dilazioni.
 

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