Antonia Ricci: «Io e quella variante inglese la notte di Natale. In prima fila contro il Covid, ma all'inizio non ci volevano»

Domenica 22 Agosto 2021 di Alda Vanzan
Antonia Ricci
1

Il 24 dicembre 2020, alle 23.59, pochi secondi prima del Natale, ha mandato un messaggio a Luca Zaia: «Presidente, abbiamo trovato la variante inglese». Quarantott'ore dopo, il giorno di Santo Stefano, Antonia Ricci era all'Unità di crisi della Protezione civile a Marghera a spiegare, in diretta social e televisiva, come era stata trovata in tre veneti la variante Alfa. Da quella volta, la direttrice generale dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, è soprannominata la Signora delle Varianti. «Nossignori, io sono un veterinario».
Padovana, 54 anni, sposata con Paolo, agronomo, due figli studenti universitari (il piccolo, 20 anni, fa Ingegneria Biomedica a Milano, il grande, 22, ha appena finito la triennale di Ingegneria Aerospaziale a Torino e si appresta alla magistrale a Tolosa), appassionata di rugby («Tifo Petrarca, ovviamente»), grande divoratrice di romanzi, la dottoressa Ricci è diventata un'ospite fissa a Marghera.

E, con lei, l'Izsve ha acquisito una visibilità e un ruolo predominante nella gestione della pandemia. «Ma non è stato immediato».


Dottoressa Ricci, prima di questa emergenza sanitaria e del lavoro di sequenziamento del virus, di cosa si occupava prevalentemente l'Istituto Zooprofilattico?
«L'Istituto ha competenze su sicurezza alimentare, sanità e benessere animale. Ci occupiamo delle malattie che colpiscono gli animali e che possono trasmettersi agli uomini, le cosiddette zoonosi e lo spillover, cioè il salto di specie. Per l'influenza aviaria, che negli Duemila è stata devastante per i produttori di polli e tacchini, siamo diventati centro di riferimento internazionale».
Come si combatte una epidemia animale?
«Con gli isolamenti dei focolai. E con gli abbattimenti. Con l'aviaria, di milioni di capi abbattuti».
C'è stato un momento in cui si è sentita preoccupata per la salute pubblica?
«Con l'epidemia di mucca pazza, alla fine degli anni 90. Era difficilissimo pensare a come la malattia si sarebbe potuta evolvere, i casi che vedevamo derivavano da alimenti consumati molti anni prima. Il dato positivo di quella epidemia è stato che ha portato miglioramenti nella normativa sulla sicurezza alimentare».
I cibi che mangiamo sono sicuri?
«I controlli ci sono, su tutta la filiera, dal mangime per la mucca al formaggio venduto nella grande distribuzione. Da noi la qualità degli alimenti è eccellente, l'Italia ha uno dei migliori sistemi di garanzia per i consumatori. Il fatto che i servizi veterinari dipendano dal ministero della Salute ne è ulteriore garanzia».
Gennaio 2020, arrivano le prime notizie da Wuhan. Che idea si era fatta all'epoca?
«Di una epidemia che si sarebbe arginata, come era successo con l'influenza aviaria o con la Sars o la Mers. Non pensavo che sarebbe diventata una pandemia».
Salto di specie naturale o virus creato in laboratorio?
«Non lo so, non ho le competenze per pronunciarmi».
Sono stati compiuti errori nella gestione della pandemia?
«Col senno di poi sono tutti bravi a dire dove si è sbagliato. È stato un evento sconvolgente, la rapidità ha colto tutti di sorpresa. C'è un Paese che ha fatto meglio degli altri? Secondo me, no. Anche la Germania, che un anno fa era indicata come esempio, si è presa una sonora scoppola e la Merkel ha chiesto scusa ai cittadini. Il fatto è che questo virus ha un andamento imprevedibile».
Tanti suoi colleghi scienziati si sono sbilanciati nelle previsioni, sono più in tv che in laboratorio.
«Io credo che tutti abbiamo agito in buona fede nel sentire l'importanza di dare una informazione chiara. Purtroppo sono argomenti difficili da spiegare. Ma sono anche i giornalisti a cercare il sensazionalismo e l'allarmismo e così si spiega la sovraesposizione mediatica di alcuni esperti».
Torniamo al febbraio 2020. Lei aveva capito subito che la mascherina era indispensabile?
«Sì. L'errore compiuto a livello mondiale è stato di non aver subito coinvolto i servizi di veterinaria. Perché per noi i virus e le misure di contenimento di una epidemia sono pane quotidiano. I nostri kit di emergenza hanno tutti i dispositivi di protezione, quando si va in un allevamento colpito da una epidemia siamo bardati dalla testa ai piedi».
Potevate farvi sentire.
«E pensa che non l'abbiamo fatto? Abbiamo sbracciato molto per dire: ci siamo. E mi piangeva il cuore perché, con tutte le attività di fatto bloccate dal lockdown, avevo dovuto lasciare a casa i tecnici».
Poi però avete trovato le varianti del virus.
«Siamo stati noi a proporci per effettuare il sequenziamento. E bisogna riconoscere che il Veneto ci ha coinvolto molto presto, rispetto ad altri Istituti il presidente Zaia e l'assessore Lanzarin hanno capito immediatamente. Il primo tampone arrivava da Verona. A Natale abbiamo trovato per primi in Italia la variante inglese. Ma tengo a sottolineare che io sono il portavoce di una grande squadra».
Quante varianti avete trovato?
«Tantissime, più di 20. Adesso la predominante è la Delta, è presente per il 95%».
Ma non è la variante Beta a preoccupare perché resiste al vaccino?
«No. E mi lasci dire una cosa: ad oggi non ci sono segnalazioni di fallimenti vaccinali. È noto che il vaccino non dà una copertura totale, ma funziona perché ci si ammala meno e in maniera meno grave. Caso mai, come si fa con l'antinfluenzale, si può arrivare a cambiare il vaccino, ma ad oggi non sembra necessario».
Cosa pensa dei no-vax? Sui social soprattutto sono agguerriti.
«Penso che, proprio grazie o a causa dei social, stiamo sopravvalutando il fenomeno no-vax. La verità è che l'Italia sta rispondendo benissimo alla campagna di vaccinazione, sia come organizzazione che come adesione. Siamo tra i migliori d'Europa, sono fiera del mio Paese. E dico che è sbagliato l'antagonismo con i no-vax, non si può acuire la battaglia tra noi e loro. La vaccinazione è fondamentale per salvare la vita delle persone, ma allo scontro va preferito il confronto».
Ne verremo fuori?
«Ma certo. Quando non lo so, ma si vede la luce in fondo al tunnel ed è grazie alla vaccinazione. La variante Delta è bestiale, è tostissima, ma stiamo vincendo, già ora facciamo una vita pressoché normale senza ammalarsi e senza morire».
Cosa le è mancato in questo anno e mezzo di pandemia?
«Viaggiare. Anche per lavoro. E poi il cinema».
Lei dirige dieci sedi tra Veneto, Friuli, Trento e Bolzano, oltre a quella centrale di Padova. Sotto di lei 650 dipendenti tra veterinari, biologi, chimici, tecnici di laboratorio, amministrative. La parità di genere non è più un problema?
«In Italia siamo ancora lontani, anche se si sono fatti passi in avanti. Penso ci sia un problema culturale che riguarda gli uomini, ma anche le donne. Ho visto tantissime donne fare loro, per prime, un passo indietro ritenendo che fosse una dicotomia l'essere madri e svolgere una piena carriera professionale. E sta succedendo ancora soprattutto tra le più giovani, come se ritenessero sufficiente l'ambito familiare».
Un problema di servizi?
«Sicuramente. Io, che non avevo supporti familiari, per i miei figli mi sono avvalsa di tutte le strutture pubbliche disponibili, dall'asilo nido alla scuola fino ai centri sportivi. Famiglia e lavoro non sono alternativi per una donna».
E delle differenze di trattamento economico cosa pensa?
«Ho constatato che di fronte al conferimento di un incarico gli uomini chiedono in automatico se prenderanno di più. Le donne no, non chiedono aumenti di stipendio. E sbagliano».
Il suo luogo elettivo?
«Il mare».
Un aggettivo per descrivere suo marito.
«Mi viene in mente una parola inglese, supporting. Mi dà supporto».
Il capo di abbigliamento che non indosserebbe mai.
«Il tacco 12, mi piace vederlo ma non lo so portare».
Il regalo più costoso ricevuto.
«Dei gioielli da parte di mio padre».

 

Ultimo aggiornamento: 23 Agosto, 09:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci