Paolo Gini, il segretario in pensione:
«Vi svelo tutti i segreti del Municipio»

Mercoledì 26 Febbraio 2014 di Loris Del Frate
Paolo Gini
PORDENONE - Quarantadue anni di contributi, trentanove da segretario e gli ultimi 12 a Pordenone. Paolo Gini, 64 anni, sanvitese, l’altra sera ha vigilato per l’ultima volta sulla legittimità degli atti del consiglio comunale. Da sabato sarà in pensione: penserà alla Sanvitese, alla zona industriale Ponte Rosso e si diletterà al timone della sua barca a vela. A Pordenone era arrivato al primo mandato di Sergio Bolzonello. Era stato proprio lui a volerlo. Dieci anni a bordo di una Ferrari, come li ha descritti, poi il cambio sulla poltrona e l’arrivo di Claudio Pedrotti.



Nessun rimpianto?

«Dopo 42 anni di lavoro è arrivato il momento di farsi da parte. Potevo farlo anche prima, ma mi ero imposto degli obiettivi da portare a termine così sono rimasto sino a quando li ho raggiunti».



Sempre brutto e poco elegante fare paragoni, ma che differenze ci sono tra i due sindaci che ha "coadiuvato", Sergio Bolzonello e Claudio Pedrotti?

«Sono stati momenti storici differenti. Con Bolzonello c’erano le risorse. Eravamo una Ferrari spinta al massimo con il serbatoio pieno di benzina. Si correva. Pedrotti paga lo scotto di un momento storico complicato: l’esigenza principale è riposizionarsi di fronte alle difficoltà e ai nuovi problemi. C’è la Ferrari, ma mancano i pezzi di ricambio e la benzina è razionata».



Lei sa "navigare" anche fuori dall’acqua. Andando più nello specifico?

«Sergio Bolzonello imprimeva ritmi veloci, decisioni rapide. Faceva squadra e chi gli stava vicino gettava il cuore oltre l’ostacolo. Un motivatore capace di infondere entusiamo. Pedrotti ha altre caratteristiche e qualità differenti. Sa valutare gli aspetti di una vicenda da più punti di vista ed è riflessivo. Due persone diverse con capacità differenti».



Dicono che un segretario comunale, se vuole, può mettere i bastoni tra le ruote all’intera amministrazione. È vero?

«Può mettere molta paura agli amministratori. Se poi decide di porre l’accento sulla burocrazia, sollevare sentenze, rispolverare leggi e norme cervellotiche, allora sì, può anche bloccare il Comune».



Lei lo ha mai fatto?

«Ho sempre collaborato con tutti nella maniera più trasparente e leale possibile, spiegando quello che si poteva fare e dove si poteva arrivare. Non mi sono mai messo di traverso sulle decisioni politiche che dovevano sfociare in atti amministrativi. Ovviamente se i passaggi erano tutti legittimi».



Si ricorda un consiglio comunale epico a Pordenone?

«Proprio epico non direi. Ci sono state sedute importanti in cui si è discusso di programmazione e della visione della città. Cose interessanti, ma nulla a che fare con l’epica».



Professionalmente si sente appagato?

«Direi di sì! Il momento più alto è stato quando sono andato alla Bocconi a presentare il sistema di valutazione delle performance dei dipendenti comunali. Eravamo tra i primi cinque Comuni in Italia. Mi sono sentito orgoglioso».



C’è differenza tra i consigli comunali di una volta e quelli di oggi?

«Eccome. Una volta, prima dell’elezione diretta dei sindaci, il consiglio - e prima ancora i partiti - erano luogo di confronto, spesso di scontro, ma c’era una preparazione accurata anche se i sindaci erano "ostaggi" dei partiti: dalla sera alla mattina si cambiavano. Oggi sono i primi cittadini ad avere in mano la barra. Comandano, hanno spazio. Il consiglio, fatto salvo il Bilancio, mozioni e interrogazioni, ha ben poco su cui decidere».



È vero che i "comunali" - come spesso si sente dire - non hanno grande voglia di lavorare?

«Un luogo comune! A Pordenone c’è gente valida, capace, motivata e pronta a portare avanti la missione del Comune. Poi, come in tutte le famiglie, c’è una percentuale meno motivata, ma è fisiologica».



Che Comune lascia?

«Attrezzato e strutturato per le prossime sfide anche se potrebbe subire contraccolpi dall’impossibilità di assumere e per il blocco del turnover. Solo sburocratizzando i processi, trovando intese con gli altri Comuni e lavorando per la città dei 100 mila, si potrà garantire un futuro a queste condizioni. Anche se qui c’è gente già allenata da tempo a lavorare in sofferenza di organico».
Ultimo aggiornamento: 11:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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