Medici e infermieri: «Una lama nel cuore, ecco come la pandemia ha cambiato le nostre vite»

Domenica 25 Aprile 2021 di Cristina Antonutti
Medici e infermieri

PORDENONE - Gettati gli scafandri, levate visiere e mascherine, un gruppo di medici e infermieri dell'ospedale di Pordenone si è raccontato in videocollegamento sul profilo Facebook di AmbitoVivo. È stata una serata speciale quella organizzata da Stefano Carbone, un viaggio nelle corsie del Covid attraverso racconti ed emozioni che sgorgano fino a travolgere l'ascoltatore. Non deve essere stato facile mettersi a nudo, raccontare di paure, frustrazioni, fatiche e scelte di cura prese senza alcun supporto scientifico. E se le guarigioni sono esplosioni di gioia, la morte lascia negli operatori sanitari tracce profonde. «Ogni volta è una lama nel cuore», dice la pneumologa Alessadra Di Paolo. E questo - dall'ondata di marzo a quelle di ottobre e gennaio - è la quotidianità.
IN PRONTO SOCCORSO

Il percorso non può che cominciare dal Pronto soccorso. Al medico Fabiana Nascimben il Covid ha cambiato la vita: «Mi sono rimasti impressi sguardi e silenzi dei pazienti, scoprire che alla fine mi riconoscevano solo dalla voce mi è rimasto impresso». E poi le frustrazioni per chi peggiora improvvisamente, il senso di smarrimento quando bisogna comunicare un decesso al telefono o quando i malati continuano ad arrivare, temi di non avere più posti e ti chiedi «se arriva un altro dove lo metto?». Il suo collega Luigi Blarasin ammette di non aver ancora digerito l'impatto emotivo. Parla, nella doppia veste di medico e contagiato, di un impatto fortissimo che deve ancora analizzare: «Qualcosa dentro di me dev'essere successo».
IN MEDICINA

«A marzo in poche ore è stato rivoluzionato il reparto - racconta la dottoressa Silvia Grazioli - Corsie senza spazi e privacy per i malati, la sofferenza di chi muore da solo che mi porto dentro. Mi è pesato il fatto che non si era in grado di affrontare il virus, a marzo era uno tsunami che non dava tregua e a gennaio la variante inglese ci ha disarmato. Adesso avremmo bisogno di leggerezza, che i vaccini ci diano la possibilità di vivere meglio». Anche Roberto Bigai, l'anestesista rianimatore che ogni giorno fa la spola tra i vari reparti, prova le stesse sensazioni. Il rapporto nato tra colleghi di specialità diverse è fortissimo, rafforzato da scelte che diventano difficili anche quando sono condivise. Un'altra voce delle Medicina è quella di Alessia Ross, che sente addosso tutto il carico delle famiglie: «Vorresti salvarli a tutti i costi, quando gli dici si va a casa è come se fosse tuo padre». Come quel signore distinto e austero che una volta tornato a casa ha fatto recapitare un pacco in reparto con i biscotti fatti moglie e un foglio con scritti a mano 300 grazie. O come Luciano - scontroso e polemico - che quando è stato dimesso si è avviato canticchiando verso gli ascensori urlando «per la Medicina hip hip hurrà» e unendo tutti in un coro liberatorio.
PNEUMOLOGIA

Anche in questo reparto la parola d'ordine è positività. Anche quando devi dire a un paziente che sta peggiorando, come raccontano Alessandra Di Paolo e Valentina Liani. Se il senso di impotenza si può nascondere con un sorriso, la mancanza di comunicazione con i parenti dei malati lascia invece «frustrati, anche se devi comunicare una bella notizia».
SUB INTENSIVA

«È la terra di mezzo - così la definisce Gianni Allegretti - dove il malato prende consapevolezza. Finchè hanno forza di respirare chiedono come va, poi non hanno neanche fiato per parlare. Noi bardati come alieni, loro con il casco, come astronauti che partono per un viaggio sconosciuto. Qualcuno impara a guardare il monitor, ormai tutti sanno cos'è la saturazione. È una situazione difficile, perchè non abbiamo parametri e non sappiamo che direzioni prenderà la malattia».
RIANIMAZIONE

È la porta che nessuno vuole varcare, dove «unione e forza», come dice l'anestesista Claudia Ambrosio, sono le fondamenta. «Da noi arrivano sfiniti, con il terrore negli occhi - racconta Parla Berton, infermiera - Li accogliamo nella maniera più serena possibile, perchè sappiano che credono di essere arrivati al capolinea». Prima delle sedazioni si parla della famiglia a casa, dei nipotini... «Abbiamo girato quei pazienti decine di volte a pancia in giù per salvarli - prosegue -, qualcuno è riuscito, qualcuno lo stiamo ancora aiutando, speriamo di poterli salutare tutti, qualcuno ci manda i saluti e forse è l'unica cosa che ci fa andare avanti con gioia e serenità. È dura, ma dura tanto». Il primario Tommaso Pellis si è fatto anche carico di tenere i contatti con le famiglie, di trovare ogni sera le parole giuste per comunicare: «Adesso vengono a ringraziare, a chiudere il cerchio dal punto di vista psicologico». E grazie, osserva Luca Dal Tin, è la parola che sarebbe bastata nella seconda ondata, quando «ci credevano sempre meno in questo virus».
 

Ultimo aggiornamento: 14:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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