Covid, cittadini "prigionieri" della quarantena per i test che danno falsi positivi: ecco come succede

Giovedì 29 Aprile 2021 di Marco Agrusti
Un test rapido
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In una circolare, inviata dalle strutture di Microbiologia del Fvg, si legge più o meno questo: «Anche il fumo di sigaretta, se respirato fino a un’ora prima dell’esame, può alterare il risultato del tampone». Basta una “bionda”, quindi, a rendere meno veritiero il risultato del test rapido di terza generazione, comunque più sicuro dei “parenti” precedenti ma di nuovo protagonista di un caso dopo i lotti ritirati in regione a causa dei falsi positivi provocati un po’ ovunque.

E anche stavolta il problema sembra essere sempre lo stesso: piovono segnalazioni, infatti, di pazienti testati con i positivi tramite l’esame rapido e risultati negativi al molecolare solo poche ore o al massimo uno-due giorni dopo. E le conseguenze sono potenzialmente serie, sia dal punto di vista sociale che lavorativo. 


IL NODO
Gli accertamenti sono in corso anche in alcune case di riposo, come ad esempio ad Azzano Decimo, dove alcuni ospiti positivi al test rapido sono poi stati decretati “negativi” dal molecolare. Era successo lo stesso un mese fa a San Vito. Ma il vero problema alberga al di fuori delle residenze protette per anziani, cioè tra i cittadini comuni che fanno affidamento proprio sui test rapidi (spesso effettuati da studi privati) per accelerare le procedure diagnostiche. Sono decine, infatti, le segnalazioni di questo tipo. Si tratta di persone che scoprono la propria positività attraverso un test rapido (magari dopo il contatto con un malato accertato) e che da quel momento entrano nel sistema delle quarantene dei dipartimenti di prevenzione. Scatta quindi l’isolamento. In certi casi, però, un altro tampone (stavolta molecolare) svolto sempre privatamente certifica la negatività. Quarantena finita, quindi? Assolutamente no, perché il provvedimento rimane in vigore. Manca un aggiornamento rapido della situazione. Niente di drammatico, per chi lavora in ufficio e può usufruire dello smart working. Quadro ben diverso per chi svolge una professione impossibile da replicare da remoto. E in quel caso si è di fronte a una “prigionia” ingiustificata dalla quale però sembra impossibile uscire prima di 14 giorni. È capitato anche all’interno del sistema sanitario stesso, dove solo grazie all’intervento dell’Infettivologia si è riusciti a determinare l’effettiva negatività di infermieri prima positivi al test rapido. Ma i cittadini comuni non possono chiamare i primari, e allora si resta a casa. 


IL PRECEDENTE
A marzo era esploso il primo caso dei test rapidi che fornivano a volte falsi positivi. Nelle Aziende sanitarie era arrivato l’ordine perentorio di non utilizzare i lotti “sospetti” e la direttiva è stata rispettata. Era stato dato anche mandato ai servizi farmaceutici degli ospedali di indagare su casi sospetti del recente passato. L’allarme era arrivato al massimo livello soprattutto nelle province di Udine e Pordenone, dove il reagente veniva impiegato a supporto dei test rapidi antigenici di terza generazione. Questo tipo di test, infatti, veniva e viene ancora spesso utilizzato per il riconoscimento rapido della positività di un paziente che successivamente viene smistato in uno dei reparti: se contagiato in un’ala Covid, se negativo in uno spazio “normale”. Ma un falso positivo rischierebbe di finire in un reparto Covid anche senza un reale contagio e quindi di essere esposto all’infezione in sede ospedaliera. Ora i risultati talvolta ambigui provocano altri problemi: quarantene ingiustificate e allarmi nelle residenze per anziani.

Ultimo aggiornamento: 17:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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