La lotta al Covid a Casa Serena diventa un libro: dal primo contagio alla battaglia per sconfiggere il nemico invisibile

Lunedì 23 Novembre 2020 di Redazione
Due anziani in casa di riposo

PORDENONE - Durante la prima ondata, si è temuto a lungo di “perderla”, di consegnarla nelle mani del virus. Ma Casa Serena, la residenza per anziani più grande della provincia, allora resse. Ma il “nemico” alla fine ce l’ha fatta. È entrato tra gli anziani a metà settembre, quando la soglia di attenzione non era così elevata. E l’incubo si è materializzato. I primi contagi, la necessità di aprire il reparto Covid, i trasferimenti d’urgenza e le vittime. Oggi l’emergenza è passata e lo staff di Casa Serena ha deciso di raccontarla in un libro di un’ottantina di pagine. Lo hanno scritto i protagonisti: i membri della direzione della struttura, ma anche gli operatori, gli infermieri. E infine gli ospiti, gli anziani che passata la paura hanno scelto di mettere a nudo i propri ricordi. 
LA GENESI
Il libro si chiama “Uniti contro un nemico invisibile”. È stato stampato in un migliaio di copie ed è già stato distribuito nelle case di riposo della regione. Sarà disponibile anche la versione elettronica, come e-book. «Appena terminata l’emergenza - ha raccontato il direttore di Casa Serena - Giovanni Di Prima - ci siamo chiusi in uno stanzino e abbiamo messo sulla carta tutto quello che avevamo passato. Il lavoro parte dai mesi precedenti, quelli nei quali ci eravamo salvati, per finire con le guarigioni e le tante storie raccontate direttamente dagli anziani». «Era ormai notte, eravamo sconcertati e in preda alle preoccupazioni. Ci interrogavamo inoltre su come avesse fatto il virus a entrare, di chi fosse la colpa, quali errori fossero stati commessi», si legge in un passaggio-chiave della prima parte del libro. 
LA GESTIONE
Il volume si addentra poi nella gestione della vera emergenza, quella esplosa dopo i primi contagi. «La cabina di regia ha assunto subito funzioni propedeutiche a creare o a ripristinare alcune condizioni essenziali per promuovere un’azione efficace di contrasto al virus.

La prima funzione non era programmata e organizzata. Si è sviluppata spontaneamente: quella di mutuo soccorso fra i suoi componenti, un reciproco supporto per affrontare l’ansia e la paura», si legge. «Per spiegare al personale cosa stava succedendo usavamo la lavagna. Serviva a due cose: ci aiutava a spiegare con chiarezza, ma allo stesso tempo comunicava che stavamo delineando un piano di azione. Non ci eravamo arresi al fatalismo». 

LE STORIE

Maria, un’anziana nel nucleo Covid, racconta: «Mi hanno portato via in scialle e camicia da notte, in ambulanza. Sono entrata nella mia nuova stanza e le operatrici mi hanno messo a letto. Con me c’erano altre due ospiti di Casa Serena, che conoscevo. Mi alzavo dal letto solo per andare in bagno, e per mangiare mi sedevo sul bordo del letto. Il cibo era buono e abbondante. Di notte avevo fame e mangiavo i grissini, ne ho mangiati tanti, erano buonissimi. Una delle compagne di stanza mi faceva star male perché gridava. Mi sentivo lontana da casa. Ho fatto amicizia con tutte le operatrici e con nessuna, erano vestite con un camice lungo fino ai piedi e la visiera, i guanti e la mascherina, erano tutte gentili, anche la dottoressa. Parlavo con le infermiere e con le aiutanti. Sentivo le campane suonare, mi aiutavano a segnare le ore che passavano: nei giorni di festa suonavano di più, mentre alle nove suonavano l’Angelus e così sapevo sempre che ora era. Mi facevano compagnia, la chiesa mi ha dato forza, avevo con me la coroncina e ogni tanto pregavo. È passato, mamma mia». Poi c’è Claudia, anziana in isolamento): «Sono entrata in casa di riposo nel periodo del coronavirus. Ho iniziato a pensare alla mia casa, a quanto ne adoravo ogni angolo, alla mia collezione di dischi, alle passeggiate lungo il Noncello e in centro con le amiche. In quei momenti tutto questo sembrava perduto. Oggi sono solo ricordi». La testimonianza di Anna, anziana in isolamento: «È stato molto difficile non avere contatti con le persone che ami. Sapere che erano lì fuori ma non poterle vedere mi ha fatto molto male. Ho pensato perfino che forse sarebbe stato meglio non avere nessuno».

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