Quando il contagio era a zero, si lavorava per potenziare gli ospedali: ecco perché il sistema regge

Domenica 8 Novembre 2020 di Marco Agrusti
La task force anti-Covid

PORDENONE E UDINE - E Due mesi prima che il commissario nazionale Domenico Arcuri avviasse i bandi per il potenziamento degli ospedali, in Fvg c’era già tutto. Un piano, messo nero su bianco e inviato a Roma, che prevedeva l’aumento delle Terapie intensive, la riorganizzazione dei reparti, il raddoppio dei tamponi. Il tutto quando in regione i contagi non erano bassi, ma a zero. Erano i primi di luglio. Altre regioni hanno messo a punto lo stesso disegno solo negli ultimi giorni. Ecco da dove nasce la capacità di risposta alla seconda ondata, che picchia forte anche qui ma che per il momento a livello ospedaliero viene assorbita. Viene dalla programmazione, in tempo e secondo le regole dettate da Roma. Con qualche specialità che oggi fa la differenza. 
TABELLA DI MARCIA
A luglio le Terapie intensive sono circa 120. Tutte vuote. Ma la Regione invia al governo il piano (approvato) per portarle a 175 posti. È il primo passo. «Ma la cosa più importante - spiega il vicepresidente regionale, Riccardo Riccardi - è l’operazione legata ai tamponi. In estate lavoriamo per il raddoppio dei test, e ci arriviamo». È uno sforzo immane, che spreme e manda anche in difficoltà il sistema della prevenzione. Ma i tamponi raddoppiano, fino a triplicare. Il tracciamento anche in Friuli oggi annaspa, ma nella fase della crescita esponenziale ha garantito lo spegnimento di tanti focolai. E il rapporto tra tamponi e popolazione è il secondo in Italia, dietro a quello del Veneto. Ma c’è un’altra pietra miliare nel processo di adeguamento del sistema alla nuova minaccia: è il “modello Sacile”. 
LA SVOLTA
«Quando vedo che in Piemonte sono costretti ad allestire i letti nelle cappelle degli ospedali, pensando che non si tratta del terzo mondo ma di una sanità rodata e performante, mi vengono i brividi», ammette Riccardi. Uno scenario che in Fvg si spera di non vedere mai, e che per ora è scongiurato proprio dalle azioni messe in campo in estate. A giugno, ad esempio, si decide di trasformare la Rsa di Sacile in reparto Covid a medio-bassa intensità. «È stato un modello, il primo in regione», dice oggi il vicepresidente. Allora piovvero critiche. Oggi è in atto la stessa trasformazione a Palmanova e a Gemona, con un occhio anche a Maniago. È una “scorta” di posti letto che sta evitando il collasso della sanità del Fvg. «Nel corso di questi anni - è la puntura di Riccardi - non si è mai pensato alle cure intermedie, che in questo caso si rivelano fondamentali». Perché se gli ospedali si saturano, salta tutto. Anche da noi. E per questo ieri è stata annunciata la nascita di un polo Covid anche alla Rsa a Cormons (Go).
I PUNTI DEBOLI
Di tamponi se ne fanno tanti (ieri più di 8mila, record assoluto) ma i Dipartimenti di prevenzione hanno perso di vista l’opera di tracciamento. I contatti dei positivi spesso sono lasciati a loro stessi, senza essere mai ricontattati. E la causa dev’essere ricercata nella carenza di personale, il vero tallone d’achille nella strategia di risposta alla seconda ondata di contagi. Manca tutto: medici, infermieri, tecnici. 
NEL PORDENONESE
All’interno dell’Azienda sanitaria del Friuli Occidentale, ad esempio, in settimana scatterà una maxi-operazione per dirottare professionisti da altri reparti.

I medici (la lettera è già stata firmata) saranno chiamati a lavorare nei reparti Covid per aumentare la potenza di fuoco negli ospedali. Il tutto a patto che accettino di farlo, dal momento che lo spostamento non può sempre essere coatto. Il quadro è questo: letti e strutture ci sono, ma manca chi questi letti deve trasformarli in terapie. 

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