Omicidio Aycha, un figlio: «Mio padre pestava la madre con il filo del carica batterie»

Sabato 7 Gennaio 2023 di Marco Aldighieri
CADONEGHE - I carabinieri davanti all'abitazione dove è stata assassinata Aycha

CADONEGHE - «Mio padre ci picchiava con il filo del carica batterie. Un maiale, pestava la mamma e lo ha fatto anche prima di ucciderla». È la testimonianza choc di uno dei tre figli di Aycha, la giovane marocchina ammazzata con due pugnalate al petto dal marito Abdelfettah Jennati di 41 anni condannato in primo grado a giugno dell’anno scorso all’ergastolo così come chiesto dal pubblico ministero Marco Brusegan.  La testimonianza del ragazzino è racchiusa nelle 48 pagine di motivazione della sentenza. Era la sera del 24 novembre del 2020 quando lo straniero, nella camera da letto dell’abitazione di Cadoneghe di via Piave, ha messo fine alla vita di sua moglie. 
Poi ha chiamato il 112 e all’operatore dei carabinieri ha detto «Ho ammazzato mia moglie, quando arrivate?». 

I FIGLI
Tutti e tre i ragazzini, un maschietto e due femminucce, sono stati ascoltati nel corso delle indagini attraverso un’audizione protetta per effettuare l’incidente probatorio. 
«A Cadoneghe in quel periodo - ha raccontato il più grande - stavo malissimo. Quel maiale mi faceva mangiare solo verdura e picchiava la mamma con il carica batterie usandolo come una frusta. La prendeva per i capelli e le sbatteva la testa. Pestava anche me e aggrediva la mamma. Mi ha tolto la mia mamma, non è un papà è un maiale. Tutto questo perchè pensava che lei fosse con un altro. E ancora: «Prima dell’omicidio aveva cercato sul cellulare quanto prende uno che uccide la moglie. E poi aveva installato telecamere in tutta la casa. Quando si è accorto che avevo visto il telefono, mi ha minacciato di picchiarmi se lo dicevo alla mamma. Aveva anche cercato la pena per qualcuno malato di mente che uccide una persona». 
La più piccola, invece, ha ricordato di avere visto «...Il maiale ha dato un pugno in pancia alla mamma...» la sera dell’omicidio. Per gli inquirenti ha assistito all’accoltellamento della madre. L’altra sorella ha dichiarato «Una volta il maiale ha minacciato la mamma con un coltello».
LE MINACCE
Il magazziniere, folle di gelosia, impediva alla giovane moglie marocchina di uscire con le amiche e anche di farsi la doccia da sola in casa. Il 5 ottobre del 2020 Aycha ha trovato la forza di denunciare il marito ai carabinieri della stazione di Cadoneghe. Quello stesso giorno Jennati, in preda alla rabbia, l’ha raggiunta per strada e l’ha trascinata davanti alla moschea, ma era chiusa. Così le ha messo in mano il Corano e l’ha costretta a giurargli fedeltà eterna. 
Prima dell’atto finale, la soppressione della madre dei suoi tre figli con due pugnalate al petto, il 41enne l’ha minacciata di morte in più di una occasione. Il 30 settembre sempre del 2020 ha fatto ascoltare a una vicina di casa e anche a suo figlio maggiore un audio (l’appartamento era imbottito di telecamere e registratori) dove urlava: «Ti avrei voluto infilare un coltello nella schiena mentre dormivi, ma ho pensato ai nostri figli e mi è passata l’idea». 
In quel periodo Aycha era incinta, ma su consiglio medico ha abortito. Jennati era convinto lo avesse fatto perchè quel figlio non era suo, ma di un altro uomo. E poi, ancora il giorno della denuncia, il magazziniere l’ha spinta sul letto minacciandola di morte e dicendole: «Sono desideroso di farti del male con un coltello». 
La sua violenza verbale contro la moglie era costante. In un’altra occasione le ha gridato: «Ti voglio uccidere mentre dormi ma per una donna sporca come te non ne vale la pena». Durante il processo è emerso come il matrimonio tra i due fosse stato voluto dal Jennati solo per convenienza, il suo obiettivo era ottenere la regolarizzazione sul territorio italiano, non disponendo nè di un permesso di soggiorno e nè di un lavoro. La giovane mamma marocchina veniva pestata dal marito anche quando la coppia viveva a Reggio Calabria nel 2018. 
LA DIFESA
Il magazziniere aveva raccontato di essersi difeso dalla moglie: «Aycha aveva nascosto un coltello sotto il cuscino mi avrebbe ammazzato».

Attraverso i suoi legali, Elisabetta Costa e Fabio Targa, ha tentato di farsi passare per incapace di intendere e di volere, ma è stato definito un simulatore. Il 20 gennaio Jennati sarà davanti al Gup per i maltrattamenti in famiglia, mentre ha già fatto ricorso in Appello per l’omicidio. 

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