Appalti e mazzette al Bo: sei rinviati a processo. L'imprenditore De Negri patteggia e va ai domiciliari

Venerdì 6 Ottobre 2023 di Marco Aldighieri
Palazzo Bo

PADOVA - L'inchiesta sugli appalti sospetti dell'Università, mercoledì pomeriggio 4 ottobre davanti al Gup Antonella Toniolo del Tribunale di Vicenza, è arrivata a una svolta. In sei sono stati rinviati a giudizio, il prossimo 24 di gennaio davanti ai giudici del Tribunale collegiale, mentre l'imprenditore Massimiliano De Negri, 52 anni di Borgo Veneto, ha patteggiato una pena di tre anni con detenzione domiciliare.

Gli altri, accusati di vario titolo di corruzione, falso e turbativa d'asta, sono l'ingegnere Ettore Ravazzolo, 63 anni di Valdagno in provincia di Vicenza e difeso dagli avvocati Ferdinando Bonon e Giovanni Caruso. Il professionista fino al 2017 è stato dirigente dell'Area edilizia e sicurezza dell'ateneo, e all'epoca dell'indagine era finito agli arresti domiciliari. Quindi, per l'accusa, il suo braccio destro Fabio Pasinato, 65 anni, di Vigonza, tecnico addetto al Servizio progettazione e sviluppo dell'Università. Poi l'impresario Otello Bellon, 56 anni, di Albignasego, Marco Canton, 36 anni di Vigodarzere, tecnico addetto al Servizio progettazione e sviluppo edilizio dell'Università, Stefano Milanetto, 39 anni, di Pernumia, titolare dell'omonima ditta specializzata in edilizia e impianti, e infine Enrico D'Este, 64 anni, di Padova, responsabile del Servizio progettazione e sviluppo edilizio del Bo.

Il processo era emigrato a Vicenza in quanto il Tribunale aveva accolto l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa di Ravazzolo. Il vantaggio patrimoniale che cristallizza la consumazione del reato di corruzione si sarebbe verificato nell'abitazione di Ravazzolo a Valdagno, dove gli impresari De Negri e Bellon hanno effettuato lavori di ristrutturazione per un controvalore di 100 mila euro. L'allora dirigente dell'ateneo avrebbe frazionato i lavori di manutenzione sotto la soglia minima che rende obbligatoria la gara d'appalto, beneficiando di lavori nelle sue abitazioni di Padova e Valdagno, e in un trullo pugliese. Il giro d'appalti era stato quantificato in 370 mila euro, tutti appannaggio di sette imprese. A far scattare le indagini del pubblico ministero Sergio Dini fu un imprenditore regolarmente escluso, che segnalò i suoi sospetti all'antimafia.

Dall'elenco degli imputati erano già stati esclusi, nel maggio dell'anno scorso, gli impresari Federico Martini, 55 anni, di Este, Damiano Battistella, 50 anni, di Este, Michela Bertazzo, 52 anni, di Este e Germano Ruffato, 75 anni, di Borgoricco. Per tutti e quattro è stata pronunciata una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Secondo l'accusa nel 2014 si sarebbero accordati per far vincere un appalto in Ateneo ad un'altra ditta. Ma ormai erano passati troppi anni e non si è potuto più procedere. A Martini è stato riconosciuto il proscioglimento anche nel merito. All'inizio dell'inchiesta gli indagati erano sedici, ma la posizione di cinque era stata archiviata dal Gip di Padova su richiesta della Procura.
 

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