Ecco i "guerrieri" della Rianimazione: in prima linea contro il virus

Giovedì 5 Marzo 2020 di Gabriele Pipia
La squadra di Rianimazione del dottor Ivo Tiberio
PADOVA - La tunica nera, la mascherina davanti alla bocca e un vecchio telefono all’orecchio. Pochi minuti dopo mezzogiorno un’anziana suora cammina nervosamente davanti al reparto di Malattie infettive dell’ospedale di Padova e intanto aspetta da qualcuno notizie. Ha vissuto una guerra, si è presa cura di bambini malati e ha compiuto missioni umanitarie in giro per il mondo. Ne ha viste tante, ma non le aveva ancora viste tutte. Questa suora è una delle tante persone che fissano le grandi tende blu allestite sul lato di via San Massimo, in quella grande area delimitata da un cartello bianco con una freccia nera: «Accesso per il test del Coronavirus». 

IL PRIMARIO
Se il pronto soccorso è il primo presidio, il reparto di malattie infettive rappresenta la seconda linea e accoglie tutti i pazienti della provincia che risultano positivi e sintomatici. Quelli in condizioni più gravi, però, non si fermano qui. L’ultimo reparto, una sorta di ultima spiaggia, è la Terapia Intensiva. Da fuori quello della “Rianimazione polivalente” è un edificio come tanti altri, ma dentro quelle mura oggi lavorano più di venti eroi in piena emergenza. Sono medici e infermieri appartenenti all’equipe del direttore Ivo Tiberio. Dirigeva la terapia intensiva del Sant’Antonio, due mesi fa è arrivato al policlinico e ora si trova a gestire «la più grande emergenza sanitaria degli ultimi decenni». 
Il suo reparto è il punto di riferimento per tutta la provincia, il luogo dove vengono ricoverati i pazienti che rischiano perfino la morte. Nelle ultime due settimane ne sono passati dodici e uno di loro, proveniente da Venezia, non ce l’ha fatta. Qui venerdì 21 febbraio era arrivato il primo paziente di Vo’ positivo al Coronavirus, trasportato dall’ospedale di Schiavonia mentre nelle stesse ore un altro uomo perdeva la vita proprio nella Bassa Padovana. «Ci siamo fatti trovare preparati perché avevamo visto quello che era accaduto prima in Cina e poi in Lombardia - racconta il dottor Tiberio -. Sapevamo che prima o poi il virus sarebbe arrivato qui, ma non sapevamo quando». 

LE PROTEZIONI
Mascherina, copricapo, visiera, occhiali, camice e calzari. Gli eroi della Rianimazione sono completamente bardati perché lavorano a stretto contatto con i pazienti contagiati e, come spiega il direttore dell’unità operativa, «non possiamo permetterci alcuna infezione». Nelle loro parole non c’è paura, solo dedizione e concentrazione. «Sappiamo quello che dobbiamo fare e non ci sono particolari timori. Voglio ringraziare tutti quelli che lavorano qui dentro - dice il direttore - , ci sono splendidi professionisti che sabato e domenica, quando è stato necessario predisporre il reparto per l’emergenza, sono venuti a lavorare anche se non erano in turno». 
I pazienti che arrivano in Terapia intensiva sono quasi tutti affetti da insufficienza respiratoria. Due sono ultraottantenni, gli altri hanno tra i 60 e i 70 anni. «Nessuno fino ad ora è stato dimesso, ma per due di loro stiamo valutando le condizioni in continuo miglioramento». Il dottor Tiberio lo dice sospirando, perché ogni paziente guarito è un segnale di fiducia per tutti. «Spesso si presentano in ospedale con i normali sintomi dell’influenza, ma poi presentano anche problemi respiratori gravi - osserva - e per molti di loro è necessaria la ventilazione meccanica. Hanno un disperato bisogno di ossigeno». 

IL BAR
Nei corridoi dell’ospedale tutti cercano di “dribblarsi” stando a distanza di sicurezza (e il viavai non è frequente come in altri giorni, perché molti hanno preferito disdire le proprie visite non urgenti). Al bar pazienti e medici sono invece costretti ad accalcarsi. La mascherina aiuta, il sorriso di chi sta dietro al bancone pure. A sorridere è anche un giovane calciatore che all’ora di pranzo esce dal pronto soccorso dopo un brutto infortunio subito in allenamento. L’amico lo aspetta fuori, sulla rampa d’accesso, davanti alla grande tenda d’emergenza. «Eccoti, finalmente! Ma stammi a tre metri di distanza». Un’elegante signora di quarant’anni, pelliccia e borsa griffata, passa accanto a loro e intanto urla al telefono: «Mi hanno detto che devo attendere l’esito del tampone e intanto stare in isolamento a casa. Ti rendi conto?». Mentre lo dice, si leva i suoi grandi occhiali da sole all’ultima moda. Giusto il tempo di riuscire a indossare una mascherina. 
 
Ultimo aggiornamento: 21:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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