Imprese metalmeccaniche, impennata cassa integrazione: cento aziende e 2.000 dipendenti

Mercoledì 16 Marzo 2022 di Gabriele Pipia
Imprese metalmeccaniche, impennata cassa integrazione: cento aziende e 2.000 dipendenti

PADOVA - Dopo due anni di pandemia finalmente vedevano la luce in fondo al tunnel. Il problema è che ora quella luce costa tantissimo. Da una parte il caro energia e dall’altra la carenza di materie prime: la guerra peggiora la situazione e sempre più imprese padovane stanno decidendo di utilizzare in modo massiccio gli ammortizzatori sociali. Le richieste di attivazione della cassa integrazione si sono impennate nell’ultima settimana e ora la conferma arriva dai numeri della Fiom: un centinaio di aziende metalmeccaniche ha già presentato domanda. La cig coinvolgerà duemila lavoratori del comparto sui settantamila totali in provincia.

Il 60% delle richieste presentate riguarda l’attivazione immediata, le altre sono richieste preventive per farsi trovare pronti nelle prossime settimane. Il comparto più interessato è quello siderurgico, fatto di acciaierie e fonderie. 


IL SINDACATO
I primi problemi si erano presentati già l’anno scorso con la mancanza di microchip e schede elettroniche per poi arrivare alla penuria di minerali e metalli necessari per forgiare le varie leghe. A queste criticità si è aggiunto, negli ultimi mesi, il caro-energia. La guerra è stata l’ultima mazzata. «Le richieste di cassa integrazione sono già tante e il numero è destinato ad aumentare» sospira Loris Scarpa, segretario generale della Fiom Cgil di Padova, che poi attacca: «Negli anni si è preferito continuare ad investire in armi e tutelare profitti piuttosto che lavorare in sinergia per costruire un piano industriale nazionale incentrato sul lungo periodo, sulla transizione e autonomia energetica, con lo scopo di mantenere attivi industrie e comparti. Oggi la produzione di energia compatibile con l’ambiente e gli esseri umani dev’essere una priorità. Le scelte scellerate del governo avranno un impatto pesantissimo». 


I COSTRUTTORI
Un altro settore che rischia di essere inondato da richieste di cassa integrazione è quello delle grandi costruzioni, dove la carenza di materie prime rischia di paralizzare migliaia di cantieri. L’Ance conta 800 imprese associate e il presidente Alessandro Gerotto stima che un 20% nel prossimo mese potrebbe fare richiesta di cassa integrazione: «Potrebbero fermarsi moltissimi cantieri privati ma il rischio è di trovarsi anche tante gare pubbliche deserte - ammette - Già adesso ci sono contratti milionari che ancora attendono di essere firmati perché le imprese necessitano di rivedere i prezzi». 
A pesare è anche il prezzo alle stelle del gasolio e qui Gerotto fa un esempio concreto: «Ho parlato con un imprenditore che fattura 12 milioni e calcola un aumento annuo di spesa per il gasolio di 800 mila euro. Se un’azienda era abituata ad avere a fine anno una marginalità del 10%, quest’anno va in perdita». 
GLI ARTIGIANI
Confartigianato ha uno sguardo ad ampio raggio e il polso di molti comparti. «Lo scoppio della guerra in Ucraina ha colto le nostre imprese in una delicata fase di transizione post-pandemia, amplificando a dismisura gli effetti, già gravi, della crisi energetica» ragiona il presidente Roberto Boschetto. 
Partiamo dalla metalmeccanica dove «sono sempre più numerosi i casi in cui il divario tra costi e ricavi sta diventando insostenibile, costringendo al fermo dell’attività». Il presidente del comparto Federico Boin ha pochi dubbi: «Alcune nostre aziende dovranno ricorrere alla cassa integrazione, pur con tantissime commesse a cui scelgono di rinunciare. Le nostre imprese sono in guerra, senza caschetto». 


EDILIZIA E TRASPORTI
Per l’edilizia pesa molto l’aumento dei costi: rispetto a dicembre 2021 il cemento è a +26%, calce e gesso a +27%. «Al momento c’è ancora molto lavoro ma le spese continuano ad aumentare – spiega il rappresentante Nicola Zanfardin - Noi abbiamo stipulato contratti con prezzi bloccati, ma i costi che dobbiamo affrontare lievitano ogni giorno. Ci sono tempi di attesa di un mese e mezzo per poter avere il materiale dalle fornaci, costrette a ridurre la produzione a causa dell’aumento dei costi energetici. Se proseguiamo così, rischiamo la chiusura totale».
Quello dei trasporti è un comparto bollente: la categoria chiede un credito d’imposta sul prezzo industriale del gasolio. Non va meglio per il trasporto persone: «Con la guerra in Ucraina, il gasolio è arrivato a costi insostenibili. Servono rimedi urgenti» dice il presidente Daniele Rigato. 


MODA E ALIMENTARI
Anche il comparto moda potrebbe fare ricorso alla cassa integrazione. «Per i prossimi mesi non è escluso - conferma Katia Pizzocaro, presidente del comparto per Confartigianato - Alcune aziende conto terzi sono sotto stress a causa dell’aumento dei costi e dei margini sempre più ridotti».
Dalla moda agli alimentari, altro settore martoriato. «Il conflitto in Ucraina non fa che aggravare il problema delle difficoltà di approvvigionamento e dei rincari di materie prime – sottolinea il dirigente dell’associazione Paolo Bertelli - A cominciare dal grano. E gli effetti si sono già fatti sentire sul prezzo del pane, che ha subito rincari che vanno dal 20 al 30% a causa dell’aumento delle materie prime, ma soprattutto dell’energia. Molti colleghi lamentano bollette con costi raddoppiati rispetto allo scorso anno. Al momento il comparto sta comunque tenendo, ma per il futuro non possiamo escludere di dover ricorrere alla cassa integrazione».

Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 10:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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