Il tecnico del Merlara allena in Guinea: «La mia gioia è negli occhi di quei bambini»

Lunedì 19 Giugno 2023 di Andrea Miola
IN GUINEA - L'allenatore Roberto Bassi insieme ai suoi piccoli atleti

MERLARA - Regalare una gioia e un sorriso ai bambini meno fortunati vale più di un gol e anche di un trionfo sportivo. E se la pensa in questo modo un allenatore che ha già festeggiato otto promozioni, diventa un compito arduo mettere in discussione questo concetto. In realtà i salti di categoria conquistati da Roberto Bassi, che poche settimane fa ha guidato al Merlara ad una storica prima volta in di Promozione, sono dieci perché vanno aggiunti i due ottenuti nella serie A in Benin e Guinea, quest’ultima la nazione che fa da contorno a un’affascinante avventura africana che prosegue da tredici anni e che lo ha visto fondare tre scuole calcio.

Una storia fatta di viaggi avventurosi, burocrazia, incontri casuali, malattie e colpi di scena, il tutto costantemente accompagnato da un grande legame per il continente africano che lo ha portato a superare ogni difficoltà e scrivere due libri.


IL COLPO DI FULMINE
«Tutto inizia con un viaggio in Guinea ad aprile del 2010 – racconta Bassi – assieme ad Alì, amico di quella terra che vive a Vicenza. Facevo il commerciante e lo avevo accompagnato a Prato per acquistare materiale per la sua attività. Mi propone inizialmente di andare in Gabon, ma all’ultimo momento cambiamo nazione perché c’era il funerale di un suo amico. Non avevo idea di cosa avrei trovato ed è stato un viaggio allucinante, con tratti percorsi a piedi o in canoa e mille difficoltà. Nel villaggio, a otto ore dal più vicino ospedale – prosegue – si dormiva su un materasso all’interno di un pollaio. Essendo un bianco, attorno a me arrivavamo tanti bambini a cui ho regalato un pallone, organizzando partitelle anche in venti contro venti. Un vero colpo di fulmine».
E perché tutto questo portasse ai passi successivi ci voleva un’altra casualità. «Mentre tornavo in aeroporto un ragazzo africano mi spinge per sbaglio e mi fa cadere l’ipad. Parliamo e mi dice che si chiama Zidane perché gli piace il calcio e che vuole aprire una scuola calcio in Guinea a Kankan. Suo zio è direttore del Ministero dello sport e così mi rendo conto che la cosa si può fare».
A ottobre Bassi riparte così per l’Africa. «Inizia un giro per incontrare il sindaco, il capo villaggio e i vari saggi locali. Il primo ostacolo è l’acquisto della matricola, che costa tremila euro, per creare una società calcistica. Per fortuna il responsabile è appassionato di pallamano e così la ottengo facendo baratto con una muta di divise di una squadra di Noventa Vicentina che avevo nel borsone».


LE DONAZIONI
L’inaugurazione nel 2014 dopo vari viaggi e tanti piccoli passi, grazie a donazioni ricevute in Italia. «La scuola è vicina a uno dei licei più grandi dell’Africa con settemila studenti. Il terreno su un ex deposito carburanti francese era piuttosto dissestato, metà in granito e metà in terra ed erba. Abbiamo cominciato con la recinzione e la sistemazione dei muri e di un portone e infine le porte. L’ho chiamata “Un calcio alla povertà” riferendomi soprattutto a quella intellettuale, con una rovesciata di Cruiff stilizzata e i colori giallo-oro e nero».
All’inizio un centinaio di ragazzi, poi diventati quattrocento, e uno staff di persone fidate, con una struttura piramidale, che ora gestisce la struttura in sua assenza. «È dal 2019, tra il Covid e il colpo di stato, che non torno a Kankan, ma i contatti online sono costanti e conto di partire il mese prossimo». Nel frattempo è stato costruito un adiacente centro medico, sono state aperte altre due accademia a Kindia e Conakri e in panchina Bassi ha vinto due campionati con il Milo in Guinea e nel 2021 con il Djeffa in Benin.


CAMPI SPELACCHIATI
Ma le vittorie più belle, come si diceva, arrivano dagli sguardi di chi gioca su quei campi spelacchiati. «Si è creata empatia. In Italia non avrei mai potuto fare come allenatore e dirigente cose del genere e non riuscirei a farmi ascoltare dai giovani per più di dieci minuti. A quei bambini, abituati a ricevere ordini, se dai indicazioni e suggerimenti, ti ascoltano con attenzione. E poi da due anni finalmente non mi chiamano più “patron”, termine con cui si rivolgono ai bianchi, retaggio della dominazione francese».
Non mancano le curiosità. «All’inizio, per capire l’anno di nascita dei giocatori, ci si basava sull’altezza con una riga orizzontale sul muro a fare da riferimento. Ora c’è invece uno staff che stila delle schede identificative chiedendo informazioni in zona. Quanto a me, in Africa me la sono cavata con la malaria in una zona sperduta, mentre qui ho rischiato di morire per un’infezione batterica presa in ospedale. Questa esperienza – conclude Bassi - è un dare e soprattutto un avere. Sono molti i miei attuali ed ex giocatori che vorrebbero seguirmi nei prossimi viaggi».

Ultimo aggiornamento: 17:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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