Israele, volontari ultra-ortodossi giorno e notte nei kibbutz a caccia di resti umani: «Diamo dignità ai morti»

«È una carneficina: in una notte ho recuperato almeno 70 corpi»

Mercoledì 1 Novembre 2023 di Greta Cristini
Israele, volontari ultra-ortodossi nei kibbutz a caccia di resti umani: «Diamo dignità ai morti»

«Addosso a me sento solo l'odore di morte, ma la sacralità di quel che faccio mi dà la forza per continuare a sporcarmi di sangue» racconta Simcha mentre rovista fra le macerie di una camera da letto distrutta. Corpi sventrati, decapitati, mani e piedi mozzati, membra sparse. È la vista quotidiana delle centinaia di volontari di Zaka, l'organizzazione paramedica israeliana che insieme alle unità di medicina legale delle Forze armate israeliane è letteralmente in prima linea nell'identificazione delle vittime e nella raccolta di tutti i resti dei cadaveri, incluso il sangue, generati dalla mattanza di Hamas: «Da quel sabato sera con i miei colleghi trascorriamo giorno e notte in tutti i villaggi attaccati per recuperare le salme e i loro resti». Riconoscibili dai giubbotti gialli catarifrangenti che indossano, i membri dell'organizzazione sono stati tra i primi a giungere nei luoghi devastati dall'escursione terroristica di Hamas del 7 ottobre scorso.

LA CHIAMATA

«L'esercito mi ha chiamato alle 19.30.

Mi dissero che avevano bisogno di una mano e che dovevo portare con me il camion più grande che avessi a disposizione - prosegue Simcha - Non avevo idea di cosa stesse accadendo e quale fosse il mio compito. Poi una volta giunto a Sderot, a nord della Striscia, in mezzo alla strada ho intravisto due auto trivellate di colpi e tre uomini esangui al loro interno. Ho chiamato immediatamente il mio superiore che mi ha gridato di scappare. Il furgone poteva essere un target. Più tardi sono arrivato per primo sul campo di Re'im. Era una carneficina e solo quella notte ho caricato 70 corpi tra civili, soldati e agenti di polizia».

Il motivo dell'azione di Zaka non è scientifico, bensì religioso: per la fede ebraica, i corpi devono essere recuperati il prima possibile e ricomposti in tutte le loro parti disponibili, così da garantire una sepoltura integra e adeguata secondo le leggi della Halakha. Per questo, anche ritrovare i brandelli più piccoli è imprescindibile. «Restituire dignità ai morti, indipendentemente dalle circostanze del loro decesso, è la più grande carità che si possa fare perché non si ottiene un ringraziamento. Chi è morto non può dare nulla indietro» spiega uno degli altri volontari che da oltre 20 giorni trascorre le giornate a cercare i resti dei morti lungo il perimetro fra Israele e Gaza. Già, perché nonostante la guerra guerreggiata paia essersi spostata dentro i confini della Striscia, Simcha e gli altri continuano a setacciare i kibbutz ora abitati dai battaglioni militari: «Nelle prime due settimane abbiamo spesso trovato nuovi corpi rimasti inizialmente nascosti e tuttora raccogliamo i resti che non abbiamo individuato durante la prima visita. Abbiamo ancora del lavoro da fare qui». 

IL MOTTO

La "vera virtù" (Chesed Shel Emes) è il motto con cui Zaka è conosciuta e rispettata, dentro e fuori Israele. Nata nel 1989 per assistere al recupero di resti umani in seguito al massacro sulla linea 405 del bus Tel-Aviv Gerusalemme in cui un membro della Jihad Islamica Palestinese si impadronì del volante di un autobus guidandolo fino a un precipizio, Zaka opera da sempre in mezzo a tragedie come attacchi terroristici, suicidi e disastri naturali.

L'ATTIVITÀ

Le sue attività si sono espanse ulteriormente durante l'Intifada di al-Aqsa nel settembre del 2000, quando i frequenti attentati kamikaze provocavano scenari tanto drammatici quanto peculiarmente consoni al suo intervento: resti e parti di corpi umani sparpagliati disordinatamente nei luoghi delle stragi. «In fin dei conti, siamo anche noi riservisti come i soldati, ma non ci facciamo pagare» conclude uno di loro. I volontari di Zaka sono tutti di tradizione ultra ortodossa e per motivi religiosi sono sollevati dal servizio di leva obbligatoria che il resto degli uomini e delle donne israeliane deve invece eseguire rispettivamente per tre e due anni. Il loro lavoro diventa quindi un modo per integrarsi meglio dentro una società dalle anime variegate e fortemente distinte. D'altronde si tratta di uno dei compiti più raccapriccianti, macabri e dolorosi che si possa immaginare dentro una guerra e loro lo fanno per fede.

Ultimo aggiornamento: 14:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA