La guerra di Hamas contro Israele spiazza il Vaticano, da tempo chiedeva di includerlo nel dialogo per fermare la polveriera

Durissima condanna da parte della Custodia di Terra Santa alle violenze, alle morti e alla presa di ostaggi

Domenica 8 Ottobre 2023 di Franca GIansoldati
La guerra di Hamas contro Israele spiazza il Vaticano, da tempo chiedeva di includerlo nel dialogo per fermare la polveriera

Alcuni giorni fa, durante il Concistoro, in Vaticano una delle voci più autorevoli e ascoltate della Chiesa a livello mondiale sulla questione mediorientale, vale a dire il francescano e neo cardinale Pierbattista Pizzaballa, faceva notare ai giornalisti che chi chiedevano della situazione tra israeliani e palestinesi, quanto fosse alto il livello di sfiducia raggiunta.

«Erigere barriere e portare avanti un atteggiamento di ostracismo in una realtà territoriale come quella non aiuta mai a costruire o ricostruire la fiducia. Ed è quello che manca sia all'uno che all'altro». Aggiungeva che «mancano gesti che creano maggior volontà per avere fiducia, che poi è sempre alla base di una prospettiva per poter costruire. Senza esclusioni». Alla domanda che cosa significasse quel «senza esclusioni», Pizzaballa specificava che «Hamas governa due milioni di persone, e non parlare con Hamas significa tenere due milioni di persone fuori dal contesto. Noi spingiamo da tempo in questo senso anche se non giustifichiamo affatto la violenza, sia ben chiaro. La violenza è da condannare in modo totale sempre. Così come è da condannare l'ostracismo nei confronti di Israele, è sbagliato. Diciamo solo che bisogna abbattere le barriere pregiudiziali che impediscono il dialogo. Il punto è questo».

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Il cardinale Pizzaballa in questi giorni è a Bergamo, sua città natale ma spera di poter ripartire per Israele.

La sua condanna a quello che sta accadendo è totale. «La presa di ostaggi israeliani, fenomeno in nessun modo giustificabile non farà altro che favorire una maggiore aggressività da ambo i lati, soprattutto da parte israeliana» ha detto all'agenzia dei vescovi italiani, Sir. «Questo stato di emergenza forse diverrà di guerra, speriamo sia breve, il più possibile. Spero di riuscire a tornare a Gerusalemme il prima possibile; sappiamo che la situazione tra Israele e Palestina è un vulcano che può sempre esplodere da un momento all'altro» dice parlando ai media vaticani.Sono preoccupato ora per tutti, non solo per i cristiani, sono preoccupato soprattutto del fatto che c'è questa sfiducia che si respira nel Paese verso le istituzioni e non solo che crea divisioni nella società e che può generare violenza e aggressività».

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Da tempo la Custodia di Terrasanta metteva in evidenza il deterioramento progressivo tra Israele e Hamas. Avevano denunciato la situazione nei territori sempre più tesa. 

Sono passati nove anni da quando il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Abu Mazen piantarono in Vaticano un ulivo, simbolico e benaugurate, sotto lo sguardo di Papa Francesco e del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo. Il Vaticano ha sempre chiesto e fatto pressing per aiutare a realizzare la formula del “due popoli in due stati” e per facilitare il dialogo. Una linea molto chiara che è stata portata avanti dalla Custodia di Terra Santa diretta dai francescani. Tuttavia la guerra scoppiata con l'attacco sconsiderato di Hamas rischia di mettere a dura prova anche gli sforzi finora fatti dalla Santa Sede e dai cristiani che vivono nella zona, stretti tra l'incudine e il martello. 

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Ieri mattina l'ambasciata israeliana in Vaticano ha diffuso una nota in cui si rendeva conto dell'alto numero di vittime e si lanciava un messaggio al Vaticano e alla linea bipartisan da sempre tenuta da Papa Francesco: «Decine di civili israeliani sono stati massacrati da membri di Hamas e militanti della Jihad islamica in un orribile crimine di guerra. In tali circostanze l'uso di ambiguità linguistiche e di termini che alludono a una falsa simmetria dovrebbe essere deplorato. Ciò che è successo oggi non può portare a una guerra, è già una guerra. La risposta di Israele in queste circostanze non può essere descritta altro che come un diritto di legittima difesa. Certamente non può essere descritta come aggressività. Tracciare parallelismi dove non esistono non è pragmatismo diplomatico, è semplicemente sbagliato». 

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