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La filosofa Ilaria Gaspari: «Il segreto della gioia è nell'attimo»

MoltoDonna
Mercoledì 23 Dicembre 2020 di Ilaria Gaspari
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In questo anno che la pandemia ha reso tanto diverso da tutti gli anni della nostra vita, quante volte ci siamo sentiti in diritto di chiederci se siamo felici? Pensare alla felicità, ultimamente, sembra un po’ una stravaganza fuori luogo, un lusso. Ma è pericoloso dimenticare la vocazione a essere felici, che attraversa secoli e continenti e ci rivela quanto somigliamo a donne e uomini vissuti millenni fa. Per i greci antichi la felicità era una virtù; coltivarla, un segno di saggezza. Un’amica mi ha mandato una fotografia di una sera di un anno fa. È passato un anno, mi ha scritto, ma sembra un secolo: eravamo nel pieno di una festa, abbracciate e sorridenti, alle nostre spalle qualcuno rideva con un bicchiere in mano. Nessuno si sarebbe sognato di associare a quell’immagine la parola assembramento.

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E così, oggi che le feste di ieri ci sembrano lontanissime e quelle di domani non le sappiamo immaginare, mi sono chiesta: sono felice? È una domanda importante. Nell’estate 1960, l’antropologo Jean Rouch girava per le strade di Parigi insieme al filosofo Edgar Morin. Alla gente per strada facevano una domanda, la stessa a tutti quanti: siete felici? Le risposte furono filmate e montate a comporre un grande ritratto sociologico collettivo che si è trasformato in un classico del cinema-verità, Chronique d’un été: un film struggente proprio perché è il tentativo di fermare un momento dentro questa domanda fondamentale. La quale, malgrado l’universalità che la rende eternamente attuale, è tutt’altro che semplice: ne Il prof. Chandra e il segreto della felicità, delizioso romanzo di Rajeev Balasubramanyam uscito per SEM nella traduzione di Marta Salaroli, un economista candidato al Nobel si ritrova alle prese con l’unico enigma che non riesce a risolvere: qual è il segreto della felicità? Neppure la sua mente geniale arriva a sciogliere l’arcano – almeno finché una serie di peripezie non lo costringono a cominciare a vivere fuori dalla sua testa, a calarsi nell’attimo. Io certo non sono candidata al Nobel, ma il segreto della felicità avvince anche me. Così ho lanciato una piccola indagine sui social, una domanda: cosa vi renderebbe felici? Sono stata travolta da una galleria di istantanee di questo tempo bizzarro che – spero – a riguardarle fra un anno ci sembreranno lontane e dolci. Qualcuno ha i desideri di sempre, ma molti ne scoprono di nuovi. Parecchie risposte iniziano con un “mi basterebbe…”: basterebbe che per qualche mese non succedesse niente di terribile, basterebbe non avere più paura, basterebbe riuscire a fare un viaggio progettato tempo fa; oppure riabbracciare, senza dover temere le conseguenze dell’abbraccio, una famiglia che non si vede da troppo tempo. Basterebbe ritrovarsi, smettere di vivere nel passato e concedersi di stare nel presente. C’è chi sarebbe francamente felice di tornare a mettersi il rossetto; chi spera di rivedere i suoi cari bloccati all’estero, chi un bambino che nel frattempo sarà cresciuto. Chi vuole conoscere meglio occhi incontrati in questi mesi, chi vuole prestare un libro amato a un’amica. Chi vorrebbe innamorarsi di nuovo dopo un lungo periodo di gelo, chi non avere niente da fare; qualcuno desidera solo una tarte tatin e qualcun altro un affetto stabile. Le lancette dell’orologio ferme, stare davanti al mare come da bambini, cercare le cose semplici eliminando il superfluo, il brivido dell’attesa, tornare a lavorare normalmente. Le risposte, me ne accorgo ora che le metto tutte insieme, si combinano in un mosaico di istanti strappati alla prosa della vita, di sensazioni al limite dell’inafferrabile, di sorrisi, di fette di torta al cioccolato, di brindisi, di feste; di levità e di spensieratezza. Sembra che la possibilità di essere felici la cerchiamo soprattutto nelle piccole cose; non è una novità. Solo che quest’anno, forse per la prima volta, abbiamo capito che anche questa è una forma di resistenza. Abbiamo capito quanto gli attimi di felicità siano preziosi, quanto sia importante farci caso mentre accadono, riconoscerli persino nei periodi oscuri. Quando ci sentiamo minacciati, come quest’anno, e in ansia, possiamo provare a pensare alla felicità come a un percorso anche un po’ accidentato, che approda a una radura ancora più verde, riposante, promettente, quanto più fitto e buio è il bosco intorno. E renderci conto che essere felici si può, anche nelle pieghe dell’angoscia e dell’imprevedibile, se riusciamo a calarci nell’attimo, a stare dentro il presente. È una lezione preziosa; ce ne ricorderemo forse, quando uno sconosciuto per la strada ci chiederà: sei felice? E magari impareremo addirittura a chiedercelo da soli. 

Ultimo aggiornamento: 2 Gennaio, 12:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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