Il referendum sulle riforme ha cambiato significato

Venerdì 15 Luglio 2016
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Egregio direttore,
premetto di non essere completamente soddisfatto delle modifiche costituzioni che voteremo con un sì o un no fra pochi mesi. Avrei preferito la totale soppressione del Senato, come alcuni avevano proposto inizialmente. In una società complessa come la nostra troppi interessi contrastanti impediscono di fare buone leggi. Ad esempio le riforme sulla giustizia e sulla burocrazia, da cui dipendono maggiori investimenti stranieri in Italia e quindi sviluppo economico e lavoro per molti disoccupati, sono sempre differite. Da quanto ho capito si vuole dare più potere all'esecutivo. Questa è senz'altro la modifica costituzionale più importante che andremo a votare con il prossimo referendum. Alcuni autorevoli personaggi politici e del mondo della cultura temono che un esecutivo troppo forte metta in pericolo la democrazia. Il pericolo, secondo il mio parere, c'è stato quando per molti anni gli esecutivi di turno legiferarono attraverso i decreti legge scavalcando il Parlamento. Non mi risulta però che molti politici, giornalisti e intellettuali abbiano protestato.

Franco Vicentini

Caro lettore,
ho sempre ritenuto una sciocchezza l'idea che la nostra Costituzione sia intoccabile. Quindi non ha remore ideologiche nei confronti del referendum. Se poi parliamo di contenuti devo dire che non mi entusiasma ne' quella specie di Senato eletto dai partiti previsto dalla riforma costituzionale, né il premio di maggioranza al partito, e non alla coalizione vincente, su cui si fonda la nuova legge elettorale. Il primo mi sembra un pasticcio, il secondo rischia di consegnare tutto il potere a un partito che magari ha preso solo il 30 per cento dei voti. Tuttavia spesso, in politica, il poco è meglio del niente e dopo anni di immobilismo, una scossa, era quanto piccola e irregolare, può essere salutare. Ma la realtà è che ormai il referendum ha assunto una valenza del tutto diversa. Il premier lo ha caricato di un significato plebiscitario che fa passare in secondo piano i contenuti della riforma e spinge gli elettori a schierarsi non pro o contro la nuova legge ma pro o contro il premier e il suo governo. E questo ovviamente cambia il significato del voto. E anche le sue conseguenze in caso di vittoria del sì o del no.
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