Coronavirus, il tema della durata del contagio continua a tenere banco tra medici e scienziati così come quello del caldo che potrebbe fare da argine. Se ne parla molto, ma una doccia fredda arriva da Massimiliano Fazzini, climatologo dell'Università di Camerino e Coordinatore del Gruppo di esperti sul Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale (Sigea): «Il Coronavirus non terrebbe conto delle variazioni climatiche. Questo è il risultato di uno studio in costante evoluzione».
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Fazzini spiega. «Tra le differenti numerosissime variabili indipendenti che possono spiegare l'evoluzione della variabilità spazio-temporale del SARS-CoV-2 non possono non essere analizzate quelle meteoclimatologiche ed ambientali.
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Ma dai primi parziali risultati di uno studio finalizzato alla conferma di tali evidenze o supposizioni il quadro climatologico non ha influito in alcun modo, dice l'esperto, sull'evoluzione del contagio. In particolare focalizzando l'attenzione sul dominio lombardo-veneto, «sono stati considerati, a partire dal 20 febbraio e sino al 18 marzo, i dati termo-pluviometrici ed anemometrici di 10 stazioni rappresentative, sia dei tre focolai principiali di diffusione del virus (aree di Codogno, Nembro e Vò Euganeo) sia delle altre province maggiormente interessate della Lombaria (Bergamo, Brescia, Cremona, Pavia). «I coefficienti di correlazione tra la diffusione giornaliera del virus a livello provinciale e i parametri meteoclimatici non hanno affatto evidenziato - dice Fazzini - alcun rapporto statistico. A quanto pare nessun rapporto ci sarebbe tra le variazioni climatiche, dunque le temperature e l'evoluzione epidemiologica del Coronavirus».
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